Non c’è dubbio che Gaja oggi sia uno brand più celebri del vino italiano nel mondo. Basti ricordare, a titolo esplicativo, che già nel 1985 il suo Barbaresco docg fu definito “the finest wine ever made in Italy”, e che nel 1998 il proprietrio, Angelo Gaja, fu premiato dalla stampa vinicola internazionale “man of the year”.
Va detto che le premesse per il successo vi erano tutte, visto che la cantina Gaja, fondata nel 1859 dal trisnonno Giovanni, aveva cominciato a puntare sulla qualità dei suoi vini già a partire dall’inizio del 1900, con le scelte produttive del nonno Angelo, spinto in questa direzione dalla moglie Clotilde Rey. Ad Angelo succedette il figlio Giovanni, il primo a macchiarsi di quella che a suo tempo era una vera e propria blasfemia: potare le viti scartando i grappoli meno buoni, sprecando “la grazia di Dio”!
Con esempi così chiari alle spalle, l’opera di Angelo, entrato in azienda nel 1961, non poteva che essere quella che oggi conosciamo: creazione di vini esclusivi da Cru entrati di diritto nella storia del vino, utilizzo delle tecniche produttive più moderne, ispirate alla viticultura di Borgogna e Bordeaux, quali ad esempio l’utilizzo delle barriques (una vera rivoluzione per quei tempi) e allargamento della produzione (attualmente intorno alle 350.000 bottiglie, da 92 ettari di proprietà) con l’introduzione di vitigni dal DNA tipicamente francese, come il Cabernet Sauvignon, lo Chardonnay e il Sauvignon.
Nonostante questa espansione dei varietali coltivati però, Angelo ha fondato la sua fama sui vini ottenuti dall’uva Nebbiolo, come il Barbaresco e le sue leggendarie Riserve, tra cui figura il celeberrimo Sorì Tildìn. Si tratta di un vino che nasce in quello che i Francesi chiamerebbero un lieux-dit, situato sulla collina del Cru Roncagliette, una MGA collocata nell’estrema zona centro-occidentale di Barbaresco. Il nome del vino nasce dall’unione tra la definizione “Sorì”, che indica un vigneto posto sulla sommità di una collina, e “Tildìn”, un affettuoso appellativo con cui Angelo Gaja chiamava sua nonna Clotilde Rey. In vigna le uve vengono fatte crescere con una precisione microchirurgica che consente di portare a piena maturazione soltanto i grappoli migliori, i quali, a loro volta, sono sottoposti a un’ulteriore selezione in fase di vendemmia manuale. In cantina, dopo la selezione finale, le uve fermentano e macerano per circa tre settimane in tini di acciaio, prima di essere lasciate affinare per 12 mesi in barrique, e per altri 12 in botti grandi di legno.
L’annata 2016, un’annata eccezionale per la critica italiana e internazionale, sfoggia un colore rubino di media intensità, con un ventaglio olfattivo che si apre su note di ciliegia Ravenna, ribes rosso, arancia sanguinella e pot pourri, seguite da caffè tostato, vaniglia, cuoio giovane e tabacco Golden Virginia, con echi conclusivi di ebanisteria ed empireumatici. Il palato è pura poesia, con un equilibrio quasi innaturale tra morbidezza, freschezza, balsamicità e sapidità minerale, incastonate in un tannino dinamico e setoso; il tutto arricchito dalla perfetta corrispondenza tra quanto individuato al naso e la sensazione retrolfattiva palatale che persiste, senza cali di tensione, anche oltre una chiusura incredibilmente lunga.
Punteggio: 96/100
Vuoi scoprire cosa posso fare per te? Clicca qui!