La storia dell’azienda Giuseppe Rinaldi ebbe inizio a metà del 1800 quando Battista Rinaldi, dopo anni di lavoro come contadino, impegnato nelle vigne dei Marchesi Falletti di Barolo, all’estinzione di questa famiglia, riuscì ad acquistare, con molti sacrifici, alcuni di quegli appezzamenti, in zone di grandissimo pregio come Brunate, Le Coste, Ravera e Cannubi San Lorenzo. L’intenzione di Battista era semplicemente quello di coltivare la vite e vendere le uve prodotte, ma suo figlio Giuseppe lo convinse a tentare la strada della vinificazione e dell’imbottigliamento in proprio e, nel 1920 (finalmente), diede vita ufficialmente alla Cantina Giuseppe Rinaldi. Da allora la cantina è passata di padre in figlio, da Giuseppe a Battista (nipote dell’omonimo patriarca), da Battista di nuovo a un Giuseppe, chiamato Beppe, e da Beppe, dopo la sua prematura scomparsa nel 2018, a Marta e alla sorella Carlotta.
Nonostante la bravura e la competenza con cui Marta Rinaldi si è calata in questo nuovo ruolo di responsabilità, sarebbe ingeneroso tacere l’importanza del padre Beppe per questa cantina, visto che i suoi vini, nei quarant’anni a cavallo tra il 20° e il 21° secolo, hanno rappresentato una delle più alte espressioni della Langa enologica. Non avrei mai immaginato che quest’uomo sarebbe venuto a mancare così presto quando acquistai l’annata 2011 del “suo” Barolo Tre Tine, nato dalla convinzione che il “vero” Barolo era quello che nasceva dall’assemblaggio di uve provenienti da parcelle diverse, in zone (oggi diremmo MGA) diverse. Il Tre Tine infatti si era chiamato fino al 2009 Cannubi San Lorenzo – Ravera indicando in modo molto più chiaro la sua provenienza da due celebri MGA di Barolo (Cannubi e San Lorenzo) e da un’altrettanto celebre MGA di Novello (Ravera). Nonostante il cambio di nome, quello che non è cambiato è la “ricetta” di questo vino le cui uve, vendemmiate manualmente, in lieve surmaturazione, sono state vinificate in tini troncoconici, con la fermentazione spontanea, senza controllo di temperatura o inoculo di lieviti esogeni, e con l’addizione di piccolissime dosi di anidride solforosa. Dopo la macerazione di un mese, sempre senza controllo della temperatura, il vino ha affina in botti grandi di rovere per circa 42 mesi prima dell’imbottigliamento, di altri 6 mesi di riposo in bottiglia, e della commercializzazione.
Questo millesimo sfoggia un colore rubino scarico dall’unghia mattone, con un ventaglio olfattivo che si apre su note di amarena, mora selvatica, corteccia e carrubo, seguite da scorza d’arancia, pot pourri, cipria e vinile, con echi conclusivi di fungo secco, oliva nera e tabacco di media tostatura. Il palato evidenzia una elegante morbidezza fruttata che riesce a rimanere fresca e scorrevole grazie a una gustosa componente citrina, e ad un tannino ormai perfettamente integrato; il tutto arricchito dal ritorno del frutto rosso matura e delle spezie che accompagnano il sorso fino a una interminabile chiusura.
Punteggio: 94/100
Vuoi scoprire cosa posso fare per te? Clicca qui!