Sulla collina La Castellada, a Oslavia, in provincia di Gorizia, a meno di cinque chilometri dal confine con la Slovenia, sorge l’omonima cantina La Castellada la cui storia affonda le radici alla fine del secondo dopoguerra. Tutto inizia negli anni ’50 quando Giuseppe Bensa acquista dei vigneti e un edificio attiguo con l’intenzione di trasformarlo in una rustica osteria in cui vendere i vini sfusi ivi prodotti. Lo scarto generazionale avviene oltre 30 anni dopo quando Giorgio e Nicolò, figli di Giuseppe, abbandonano il progetto dell’osteria per dedicarsi esclusivamente alla produzione di vini imbottigliati nella cantina paterna, a marchio La Castellada. Oggi la cantina vede ancora Giorgio e Nicolò saldamente alla guida, anche se, dal 2009, hanno fatto ingresso in azienda Matteo e Stefano, figli di Nicolò.
I vigneti di proprietà si estendono su un terreno che, oltre a essere stato teatro della tragedia della Prima Guerra Mondiale, come testimoniano i corpi di oltre 58.000 soldati seppelliti nel vicino Sacrario Militare (costruito nel 1938), presenta un habitat particolarmente vocato alla viticoltura. I terreni sono composti da un mix di marne e arenarie sottomarine di origine eocenica (la tradizionale Ponca del Collio), mentre il clima è caratterizzato da un equilibrato alternarsi tra i venti freschi, provenienti dalle vicine Alpi Giulie, e mediterranei, provenienti dall’altrettanto vicino golfo di Trieste. In questa cornice pedoclimatica la cantina possiede complessivamente una decina di ettari equamente ripartiti tra una zona con piante di circa 50 anni di età, con una densità d’impianto più bassa (3500 ceppi per ettaro), e una resa per ettaro maggiore (circa un chilo e mezzo per pianta), e una più recente, di circa 25 anni di età, con una maggiore densità (6000 ceppi per ettaro) e una resa minore (meno di un chilo per pianta).
La filosofia produttiva seguita è naturale e comprende, in vigna, l’esclusivo e morigerato utilizzo di zolfo e rame, l’inerbimento degli interfilari e operazioni votate all’arricchimento della biodiversità. In cantina tradizione e naturalità vanno nuovamente di pari passo e comprendono la macerazione sulle bucce (anche dei vini bianchi) in tini troncoconici, le fermentazioni spontanee, per mezzo di lieviti indigeni, l’assenza di controllo della temperatura e un bassissimo utilizza di solfiti, come nel caso del loro celebre Bianco della Castellada.
Si tratta di un blend di Pinot Grigio (50%), Chardonnay (30%) e Sauvignon (20%) da viti di diverse età (22/45 anni) vendemmiati manualmente nella seconda metà di Settembre. Mentre il Pinot Grigio viene pressato immediatamente per poi fermentare in barrique di vario passaggio, Chardonnay e Sauvignon macerano sulle bucce per quattro giorni prima di essere travasate in barrique dove completano la fermentazione. Il periodo di affinamento comprende 11 mesi in barrique, sulle fecce fini, altri 12, dopo l’assemblaggio, in vasche d’acciaio inox e, dopo l’imbottigliamento, senza filtrazione, 12 mesi finali in vetro.
L’annata 2010 sfoggia un colore paglierino intenso con screziature ambrate, e un ventaglio olfattivo che si apre su note di biancospino, albicocca disidratata, pesca nettarina e vaniglia, seguite da clorofilla, miele di corbezzolo, fiore di bosso ed elicriso, con echi conclusivi di ebanisteria. Il palato è generoso e balsamico, con una evidente morbidezza e la giusta freschezza balsamica a equilibrare il sorso; il tutto arricchito dal ritorno della frutta gialla, dalla clorofilla e dalle spezie che accompagnano il sorso a una chiusura di ottima lunghezza.
Punteggio: 89/100