Dolceacqua è una piccola enclave, di poco più di 80 ettari, nell’estremo ovest della Riviera ligure di Ponente, a pochi chilometri dalla Francia, che vanta una produzione minuscola di vini a base Vermentino e Rossese. La bellezza del luogo, con i suoi passaggi eterei e senza tempo, spinse anche il capofila dell’impressionismo, Claude Monet, a fissarne alcuni tratti nel suo celebre “Le Château de Dolceacqua” in cui figurano le casette del vecchio borgo e il ponte Vecchio. In questa minuscola enclave figura un minuscolo produttore che possiede la vigna più vecchia dell’intero areale, curata, insieme alle altre, con dedizione e premura da più di 60 vendemmie: Nino Perrino.
Nino viene da una famiglia il cui cognome, come in tutti i piccoli borghi d’Italia, era stato dimenticato, sostituito dall’appellativo Testalonga, come a voler indicare la capacità della famiglia Perrino di saper vedere lontano. A fianco a Nino c’è oggi la nipote Erica, che ha imparato in fretta l’arte del produrre il vino, tanto in vigna quanto in cantina, secondo lo stile pienamente artigianale tramandatogli dal nonno.
Eh si, perché Nino fa il vino come ha imparato a farlo, a partire dal 1961, una volta abbandonati gli studi, dal padre che, fino alla sua prematura dipartita (1967), lo produceva principalmente per se stesso e per i consumatori del circondario. I primi imbottigliamenti cominciano soltanto negli anni ’80 e, anche la scelta di mantenere inalterata la veste grafica dell’etichetta, fino ai nostri giorni, lasciano capire quanto poco questa cantina si lasci influenzare dalle mode o dall’evolversi dei tempi. Anche parlare di cantina è un eccesso, visto che Nino possiede un piccolo garage con otto botti da 500 litri esauste dove i vini prodotti da appena due ettari di vigneto vengono travasati di volta in volta per illimpidirli e ossigenarli. Per quanto riguarda le tecniche produttive utilizzate, si parte dalla cura delle vigne condotta interamente a mano, esclusivamente con saltuari utilizzi di zolfo, dopo aver bandito anche il rame.
Dei due vini prodotti, il bianco è un vino che Nino ha scelto di declassare a IGT, chiamandolo semplicemente Testalonga Bianco, nonostante si tratti di un Vermentino in purezza ottenuto da uve che vengono vendemmiate con un’attenta selezione in pianta e, successivamente, pigiate con i piedi senza diraspatura. Dopo una macerazione con bucce e raspi di circa cinque giorni il mosto fermenta spontaneamente, grazie ai suoi lieviti indigeni, e il vino ottenuto affinano in botti da 500 litri cui ho fatto riferimento, con circa otto travasi annui, prima dell’imbottigliamento e della commercializzazione.
L’annata 2020 sfoggia un colore a metà strada tra l’oro e l’ambra, con un ventaglio olfattivo straordinariamente didascalico in cui il primo sentore che emerge è quello di una sincera spremuta d’uva, accompagnata da richiami al cedro candito, al rosmarino e al miele di castagno, seguiti da mandarino cinese, macchia mediterranea, iodio ed eucalipto, con poche pennellate conclusive di Sherry ossidato. Il palato è ammaliante, grazie alla freschezza citrica, balsamica e anche a quella ossidativa (quest’ultima davvero golosa), che sono perfettamente riequilibrate da un filo di calore, la giusta morbidezza glicerica e un accenno alla sapidità iodata; il tutto arricchito dal ritorno della frutta gialla (tanto fresca quanto candita) e dello Sherry che accompagnano il sorso fino a una chiusura di ottima lunghezza.
Punteggio: 91/100