A volte, nel variegato mondo enologico, succede che un il titolare di un grande gruppo industriale, Diotisalvi Perin, amante della natura e del buon vino, decida di correre il rischio e di trasformare la sua passione in un affascinante progetto vitivinicolo. Diotisalvi lo ha fatto inizialmente con un’azienda, Antiche Terre dei Conti, impegnata nella produzione biologica a 360 gradi, e oggi convertita alla produzione di grani antichi e farine. Il sogno di produrre vino biologico e biodinamico di qualità, lungi dall’essere tramontato, continua in una nuova realtà che potremmo definire lo spin-off di Antiche Terre dei Conti, l’omonima Società Agricola Diotisalvi.
Oggi la cantina Diotisalvi è guidata dal figlio Simone Perin e continua a perseguire lo scopo di produrre vini di qualità in quel di Colfosco di Susegana, a meno di 10 chilometri da Conegliano, il cuore pulsante del Prosecco in provincia di Treviso. Le vigne (in precedenza di proprietà di Antiche Terre dei Conti) vengono coltivate, da oltre 15 anni, secondo il disciplinare biologico ma questo non sembrava sufficiente a preservare la salubrità dei terreni, e quindi, qualche anno fa, si è scelto di adottare anche la filosofia biodinamica, certificata da Demeter dal 2020. A questo proposito, con lo scopo di condurre una comunicazione più semplice ed efficace delle tecniche vitivinicole biologiche e biodinamiche, il 31 agosto 2018 la cantina è stata tra i soci fondatori del consorzio trevisano #Bio.
La vocazione ecologica però, non si ferma soltanto alle vigne, e infatti le tecniche di cantina vengono costantemente aggiornate con protocolli di lavorazione che differiscono per ogni singolo vitigno e ogni singola parcella. È proprio per esaltare questa visione che si è scelto di utilizzare contenitori di affinamento di diverse dimensioni e diversi materiali, tutti collocati al di sotto del livello del suolo, nel ventre fecondo della terra. Infine, al termine del processo produttivo, acini, bucce e raspi vengono inviate a un impianto di recupero energetico per fermentare e produrre gas ricchi di metano, in grado di generare energia elettrica, con gli scarti finali usati come concime organico; un percorso circolare senza spreco.
Avendo bevuto, fino ad oggi, solo i loro vini bianchi, ero molto curioso di provare un rosso, nello specifico il Blunotte, un taglio in parti uguali di Merlot e Cabernet Franc da viti piantate nel 2009, sui tradizionali terreni vulcanici dei Colli Euganei, a 400 metri di altitudine. La prima annata prodotta, quella che ho avuto l’opportunità di assaggiare, è la 2019, e questo poiché la cantina ha lasciato che le piante raggiungessero almeno i 10 anni di vita, la maturità necessaria per ottenere un vino dagli standard qualitativi desiderati. La vendemmia di questa annata è avvenuta tra la seconda e la terza settimana di settembre, e le uve, dopo la delicata pigiatura, sono state lasciate fermentare e macerare, in vasche di cemento non vetrificato, a temperatura controllata, per circa due settimane. Il vino ottenuto ha poi svolto un periodo di affinamento di un anno sulle fecce fini, effettuando anche la fermentazione malolattica, sempre in vasche di cemento.
Nel bicchiere il vino sfoggia un colore rubino intenso ma piuttosto fluido, quasi a presagire una beva piuttosto scorrevole, con un naso che si apre su note di prugna cotta, passata di pomodoro, mora di gelso e confettura d’amarena, seguite da pot pourri, rabarbaro, chiodo di garofano, tabacco biondo fresco, con echi conclusivi di humus, cuoio biondo e sentori fumé. Il palato ha un attacco quasi esitante in cui emergono, in progressione, la freschezza, lo splendido tannino e quel tanto di morbidezza sufficiente a non sbilanciare il sorso, con una dimensione sapido/minerale conclusiva, davvero intensa; il tutto accompagnato dal ritorno quasi prepotente del sentore fumé che, col pot pourri e le spezie nobili, accompagna il sorso a una chiusura di buona lunghezza.
Punteggio: 88/100