
Non c’è dubbio che Gaja oggi sia uno brand più celebri del vino italiano nel mondo: già nel 1985 il suo Barbaresco fu definito “the finest wine ever made in Italy”, e nel 1998, Angelo Gaja, fu premiato dalla stampa vinicola internazionale “man of the year”.
Angelo è Piemontese ma è anche una persona costantemente attiva, in cerca di nuove sfide, determinata a produrre e a far conoscere i propri vini in giro per il mondo.
Entrato in azienda nel 1961, Angelo si dedica anima e corpo a svilupparla, modernizzarla, ma anche a fare i conti con le difficoltà intrinseche nel fare vino a Barbaresco. Niente Barbaresco nel 1984, niente Cru nel 1987, niente imbottigliamenti nel 1991, 1992, e 1994. Tutto questo mentre inizia a produrre, sempre a inizio anni ’90, a Montalcino, i vini della sua nuova cantina Pieve di Santa Restituta.
Entusiasta per via dei risultati raggiunti e fiutando the next big thing nel territorio del bolgherese, si getta a capofitto nella ricerca di un terreno. A Bolgheri la viticoltura gode di sole, mare, ampie escursioni termiche e, soprattutto, di uno storico che sta appena cominciando a dimostrare come si possano fare vini di grande qualità in loco… è il momento giusto per comprare!
Angelo considera il fare vini a Bolgheri “una pacchia” rispetto alle difficoltà climatiche langarole e, per di più, individua un terreno composto esattamente come quello della mitica Tenuta San Guido, da cui viene prodotto il Sassicaia.
Per comprare quell’appezzamento di un centinaio di ettari, Angelo fa su e giù, dal Piemonte a Bolgheri, per quasi un anno, trovandosi costantemente di fronte al diniego da parte dei proprietari a cedere la loro proprietà. È proprio da questa situazione di stallo che nascerà il futuro nome della cantina: Ca’ Marcanda che in piemontese significa “casa in cui si mercanteggia”, a memoria delle estenuanti trattative.
Una volta entrato in possesso dell’appezzamento l’idea di Angelo è di partire con una produzione di circa 300.000 bottiglie per arrivare, a pieno regime, al milione. Per questa ragione la cantina, ideata dall’architetto astigiano Giovanni Bò, è di dimensioni inizialmente quasi dispersive.
Questo aspetto non si nota a un primo sguardo visto che quello che emerge dal terrapieno, piantato con ulivi, è soltanto la zona dedicata agli uffici, la punta dell’iceberg. Gli ambienti di vinificazione, affinamento, ospitalità e degustazione sono tutti sotto il terrapieno, e beneficiano naturalmente di una temperatura ideale, senza ricorso a energia che non sia quella termica del suolo.
Il vignone è suddiviso in diverse parcelle, piantate con Merlot (50%), Cabernet Sauvignon (17%), Cabernet Franc (10%), Syrah (9%) e piccole quote di Sangiovese. Per ottenere vini eleganti e non troppo intensi il sesto di impianto è un 2×0,8 metri, con una resa per pianta di 1,2 Kg di uva. L’eleganza è la “firma” di Gaja, e anche in questi vini la si avverte con grande nitore, come stano imparando anche i tre figli di Angelo, Gaia, Rossana e Giovanni, che affiancano il padre in maniera progressivamente più impegnativa.
Tra i vini della cantina l’assaggio della punta di diamante, il Bolgheri Rosso Ca’Marcanda, è quasi un passaggio obbligato per chi ama i vini bolgheresi sussurrati, in punta di piedi.
Si tratta di un blend di Merlot (50%), Cabernet Sauvignon (40%) e Cabernet Franc (10%) macerati e lasciati fermentare per parcelle separate. Una volta ottenuti i vari vini, si procede all’assemblaggio e al riposo del blend per 18 mesi in barrique e per 12 in bottiglia.
L’annata 2018, abbinata a un succoso arrosto di spalla, ha sfoggiato un rubino pieno dalla consistenza perfettamente sotto controllo, con un ventaglio di sentori che si è aperto su note di Crème de Cassis, Mora di Gelso, Fico secco e Cuoio di Vacchetta, seguite da pot pourri di Violetta, Rosa “Velvet Alibi”, Rametto di Liquirizia, Peperone rosso, con echi conclusivi di Tabacco Latakia, Vinile, Goudron e incenso Palo Santo.
Se l’olfatto lasciava intendere grandi aspettative, il palato le ha mantenute in pieno! La protagonista principale è la morbidezza, così vellutata e mai opulenta da mandare in estasi, con un’ampiezza altrettanto misurata, condita dalla parte sapido/iodata e spinta da un tannino la cui eleganza meriterebbe l’inserimento tra le materie di studio delle scuole di enologia.
Che dire poi del ritorno precisamente chirurgico di tutti, nessuno escluso, i sentori olfattivi, per via retro nasale? Sono la Rosa, la Crème de Cassis, il Tabacco e l’incenso Palo Alto a stagliarsi nitidamente dal delicatissimo insieme, scortando il sorso fino a una chiusura da standing ovation, per lunghezza e bontà.
Lo so, l’abbinamento musica/vino è una cosa scontata ma provate a sorseggiare questo vino ascoltando una selezione di Standard Blues e poi mi direte
RATING: ⭐⭐⭐⭐⭐
PREZZO: €€€€€
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