Nell’areale di Montalcino, a Valdicava, nel quadrante nordorientale della collina, sorgono i vigneti storici dell’azienda Le Chiuse, azienda riconducibile alla leggendaria famiglia Biondi Santi.
Tutto inizia nel 1700 grazie al matrimonio tra Jacopo Biondi e Maria Tamanti che porta in dote dei terreni inclusi all’interno di questa celebre denominazione che, per dirla tutta, non esisteva ancora. Sarà solo con il nipote Ferruccio Biondi Santi che l’intera storia muta direzione: Ferruccio riprende lo studio sui vigneti locali, arrivando a selezionare un clone di Sangiovese che viene censito come “Grosso”.
Con il figlio di Ferruccio poi, Tancredi Biondi Santi, si giungerà alla forma definitiva, al Brunello di Montalcino, vino attualmente considerato une dei più celebri blockbuster enoici italiani. Da allora i vigneti in questione diventano quelli da cui ottenere la Riserva dei Brunello Biondi Santi, e passano da Tancredi alla figlia Fiorella che le lascerà in eredità a sua figlia Simonetta.
Sarà a partire dagli anni ’90 che Simonetta, aiutata dal marito Nicolò Magnelli e dal figlio Lorenzo, smetterà di affittare i terreni allo zio, il celeberrimo Franco Biondi Santi, per cominciare un percorso produttivo in proprio, con il restauro del podere, la sua espansione, l’impianto di pochi nuovi vigneti, e la costruzione di una nuovas cantina nuova di zecca.
Oggi l’azienda si estende per 18 ettari composti da oliveti, boschi naturali e vigneti (8 ettari totali), ad altitudini tra i 350 e i 500 metri slm, piantati con una densità media di 4500 ceppi per ettaro, su terreni argillosi con una buona presenza di galestro e tufo.
Visto il passato così altisonante, è impossibile per un amante del vino esimersi dall’assaggiare questo Brunello di Montalcino, un vino la cui produzione prende avvio da una attenta selezione in vigna che porta a raccogliere, con un leggero anticipo rispetto alla media, non più di 800 grammi di uva per pianta. La vendemmia anticipata, soltanto dei grappoli più piccoli, operata per garantire un maggior livello di acidità e un potenziale d’invecchiamento più lungo, prosegue in cantina dove, in meno di mezz’ora dal loro raccolto, le uve vengono interamente diraspate e travasate per caduta in fermentini di acciaio e cemento.
La fermentazione alcolica dura circa 20 giorni, e avviene per mezzo dei lieviti indigeni, a temperatura mai superiore ai 29° C, con rimontaggi e follature effettuati quando ritenuto necessario. Tre anni di affinamento in botti grandi (30HL) di rovere di Slavonia e, dopo il travaso senza filtrazione, un anno in bottiglia, sono il periodo necessario prima che il vino possa essere messo in commercio.
L’annata 2016, che ho avuto il piacere di bere domenica sera, in abbinamento a una splendida Tomahawk di Cinta Senese, ha confermato l’alta considerazione che nutro per questo vino, dal colore rubino scarico, con un ventaglio di sentori che si è aperto su note di ciliegia durone, melagrana, vinile e Rosa “Dama di Cuori”, seguite da pot pourri di violetta, mirtillo rosso, muschio bianco e tabacco Latakia fire cured, con echi conclusivi di incenso del monte Athos, goudron e sottobosco fungino.
Il palato ha dimostrato come mai si usi così spesso il concetto di eleganza quando si parla di questo vino, perchè freschezza, essenzialità, equilibrata sapidità e tannini vellutati sono nitidamente percettibili e, al contempo, indissolubilmente legati l’uno agli altri. Il tutto è, infine, accompagnato al ritorno del frutto rosso e delle spezie, che conducono il sorso a un fresca e lunghissima chiusura.
RATING: ⭐⭐⭐⭐⭐
PREZZO: €€€
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