
Per comprendere appieno l’intenso legame che tiene uniti Martin Gojer, e la moglie Marion Untersulzner, al Maso Pranzegg vale la pena fare qualche passo indietro e chiarire cosa sia un Maso: una radura, con abitazione contadina e fienile, con annessi gli appezzamenti di terreno circostanti, destinati all’allevamento di animali, all’agricoltura o alla viticoltura. Fin qui non sembrerebbe esserci nulla di strano visto che una Fattoria consiste più o meno nella medesima soluzione abitativo/produttiva.
La differenza risiede nel fatto che, dal1526, secondo l’ordinamento giuridico del Land del Tirolo, un Maso non contempla la suddivisione reale, o meglio, non può essere spartito tra più eredi, e quindi, da allora, esiste solo nella sua forma “chiusa”, che obbliga il proprietario a darlo in eredità o a venderlo nella sua interezza. Questa formula funziona talmente bene che, su 19.000 i Masi tirolesi, 11.000 si sono tramandati “chiusi” fino ai nostri giorni.
Tornando al Maso Pranzegg, si tratta di una proprietà che ha origini antichissime (la cantina è del XIII secolo), acquistato dalla nonna di Martin intorno alla metà degli anni ’30 e immediatamente impostato secondo il principio della policoltura, che consisteva nel coltivare il maggior numero di prodotti possibili, per arrivare all’autosufficienza alimentare. Dalla nonna, il Maso passa nelle mani del padre di Martin, e, una volta venuto a mancare quest’ultimo, nelle mani di Martin stesso, nel 1997, ad appena diciott’anni di età.
All’epoca il maso coltivava uva, ciliegie, noci e castagne e lavorava prodotti e animali del bosco, e bastarono solo tre anni, a Martin, per capire che bisognava convertire tutta la produzione passando esclusivamente alla viticoltura. Fu così che, dal 2000, si cominciarono a vendere le uve prodotte ai grandi acquirenti, sempre più deliziati dalla loro qualità. Col passare del tempo Martin capì di avere un tesoro tra le mani e, nel 2010, prese la ferma decisione di interrompere il commercio delle uve, vinificandole in proprio con proprie etichette.
I vini erano buoni ma Martin voleva qualcosa in più: voleva che i suoi vini esprimessero la verità dei suoi vigneti, liberando i grappoli dalla chimica e abbracciando la filosofia biologica (prima) e biodinamica (poi). Oltre ai preparati biodinamici, alle tisane omeopatiche e alla assoluta sincerità in cantina, la prossima sfida di Martin è reintrodurre in vigna degli animali, per chiudere il cerchio e tornare alla policoltura abbandonata anni prima. Per ora ci sono api e galline ma il prossimo passo è l’introduzione delle pecore nane, le uniche in grado di pascolare senza riuscire, per via dell’altezza, ad arrivare ai germogli d’uva della pergola trentina.
Tra i vini a firma Pranzegg è inutile dire che il più emblematico sia la Schiava Campill, una Schiava “liberata”, come ama definirla Martin, una Schiava a cui è stata restituita ecologicamente la libertà di esprimere la propria verità. Questa etichetta nasce in un vigneto di meno di un ettaro, in forte pendenza, piantato con 4000 ceppi di oltre 50 anni di età, la cui resa supera di poco il chilogrammo per pianta. Una volta che le uve sono arrivate in cantina, dopo una parziale diraspapigiatura, la fermentazione spontanea in tini troncoconici e botti grandi di rovere, in contatto con bucce e raspi per 5 settimane (3 delle quali a cappello sommerso), il vino ottenuto viene lasciato affinare, per un anno, negli stessi contenitori, per 10 mesi in vasche di cemento, e per 9 in bottiglia, prima della commercializzazione.
L’annata 2019 sfoggia un colore rubino quasi impalpabile, con un’unghia delicatamente aranciata, e un ventaglio di sentori che cancella all’istante l’idea preconcetta che, di solito, si ha della Schiava, con su note di mora di rovo, ciliegia durone, melagrana, arancia amara, seguite da petalo appassito di rosa, pino mugo e sottobosco, con echi conclusivi di vinile e incenso. Se l’olfatto è intrigante, è in bocca che questo vino da il meglio di sé, cancellando, per la seconda volta, l’idea preconcetta di una Schiava, grazie a una acidità che fa scintillare gli occhi, una sapidità quasi amaricante e un tannino di altissimo livello; il tutto combinato con il ritorno della frutta rossa, del sottobosco e del vinile, che accompagnano il sorso a una chiusura succosissima e talmente lunga da ribaltare, per la terza volta, il concetto stereotipato di Schiava che nel corso del tempo un bevitore potrebbe essersi fatto. Un vino assolutamente da provare!
RATING: ⭐⭐⭐⭐
PRICE (€-€€€€€): €€
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