La storia della cantina I Clivi parte da molto lontano, più precisamente dall’Africa occidentale, l’ultima tappa dei viaggi di Ferdinando Zanusso che, a metà anni ’90, decide di andare in pensione e di acquistare una vecchio vigneto nella terra natia della moglie: Cormons, in pieno Collio Goriziano. Ferdinando non ha una formazione enologica e, per giunta, avendo girato mezzo mondo per lavoro, non sa nemmeno parlare la lingua locale, ma questo non gli impedisce di coltivare il suo sogno vitivinicolo con passione e determinazione.
Saranno proprio queste due caratteristiche a contagiare il figlio Mario, che abbandona gli studi di economia per affiancare con entusiasmo il padre nei lavori di vigna e cantina. Ed è così che, oggi, la cantina ha subito un piccolo processo di espansione, arrivando a possedere 12 ettari di vigneti che, nonostante la vicinanza, ricadono sotto due denominazioni diverse: Collio Goriziano e Colli Orientali del Friuli.
La maggior parte dei terreni di proprietà è attualmente composta da vitigni di un’età compresa tra i 60 e gli 80 anni, tutti giacenti su quel caratteristico mix roccioso di marne e arenarie conosciuto il loco con il nome di ponca. Qui, anche per i nuovi vitigni messi a dimora, è stata fatta la scelta di coltivare, senza utilizzare macchinari pesanti, vecchie specie autoctone come il Friulano, il Verduzzo, la Ribolla Gialla, e la Malvasia Istriana.
Il ciclo vegetativo delle viti viene accompagnato nel modo più naturale possibile: niente irrigazioni, niente concimazioni, potature differenziate pianta per pianta, e uso di rame e zolfo entro i limiti minimi consentiti dal disciplinare biologico. Questo approccio fa il paio con quello in cantina, basato su assenza di macerazioni (per ottenere vini caratterizzati da maggiore acidità e scorrevolezza), fermentazioni spontanee per mezzo di lieviti indigeni, e travasi senza filtrazioni.
Dai vigneti in zona Colli orientali del Friuli nasce il vino Clivi Galea, un blend di Friulano (90%) con un piccolo saldo di Verduzzo (10%) coltivati nella vigna Galea, lungo il confine con la Slovenia.
Una volta arrivate in cantina, le uve vengono delicatamente pigiate a grappolo intero, con lo scopo di ottenere esclusivamente il mosto fiore che, subito dopo, viene convogliato in vasche di acciaio, per un primo processo di decantazione che dura tutta la notte. La mattina successiva, il mosto illimpidito viene travasato in un’altra vasca d’acciaio, dove i lieviti indigeni fanno partire la fermentazione spontanea e, quindi, il vino ottenuto viene lasciato maturare per 18 mesi sulle fecce fini in sospensione. Al termine del processo di vinificazione si procede all’imbottigliamento, con leggera filtrazione e minuscola addizione di anidride solforosa (3g/Hl), e alla commercializzazione.
L’annata 2018 sfoggia un colore paglierino di media intensità, con un ventaglio olfattivo che si apre su note di nespola, pera Kaiser, clorofilla e iodio, seguite da scorza di lime, mandorla, miele di cardo ed elicriso, con echi conclusivi di pietra focaia. Il palato ha per protagonisti la sapidità iodata e l’acidità citrica, contornati da una delicata punta di pepe bianco e da un accenno di morbidezza; il tutto arricchito dal ritorno della frutta bianca e della pietra focaia che accompagnano il sorso fino alla tradizionale chiusura ammandorlata.
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