Nonostante molto spesso si parli del ruolo cruciale svolto dalla viticoltura dei monaci, più di mille anni fa, per una prima efficace zonazione della Borgogna, ci si scorda di riflettere sul fatto che questa loro “specializzazione” ha contribuito a sviluppare la viticoltura un po’ in tutte le zone in cui soggiornavano, anche per via del fatto che la santa messa ha bisogno sia del pane che del vino per essere celebrata. Il caso de La Coulée de Serrant nella Loira, ad esempio, non è molto diverso poiché si tratta di un vigneto creato dai monaci cistercensi nel 1130, e rimasto tale fino ad oggi, a cui è accorpato un vecchio e piccolo monastero. Va detto che i monaci sapevano scegliersi terreni di incredibile qualità (re Luigi XI lo definì addirittura “la goccia d’oro”) e, in questo caso, anche di rara bellezza, visto che da vicolo del “cimitero degli Inglesi”, incluso nella proprietà, è possibile ammirare il vigneto e tutta la vallata sottostante della Loira.
Un luogo così leggendario, mistico e vocato non poteva lasciare indifferente l’attuale proprietario Nicolas Joly, un uomo che proprio in questo vigneto ha teorizzato e messo in atto per la prima volta alcuni dei più rilevanti principi della viticoltura biodinamica. Tra le numerose e dettagliate caratteristiche del disciplinare adottato basta ricordare che in vigna il compost è prodotto da mucche e tori della mandria di proprietà, che viene favorito lo sviluppo di altre specie vegetali, per contrastare gli effetti negativi per il suolo della cultura unica, che il lavoro dei trattori è svolto dai più leggeri cavalli, e che in inverno si lascia che le pecore bruchino negli interfilare, convertendo quelle erbe in letame. Anche in cantina, dopo la vendemmia effettuata a maturazione protratta, con le uve attaccate da botrite, il concetto di naturalità è spinto fino all’estrema conseguenza: niente decantazioni, nessun passaggio a temperatura controllata o, peggio, al freddo, niente lieviti industriali, nessun collagene, pochissimo legno nuovo e numerosi travasi che favoriscono l’ossigenazione del vino. Se oggi tutte queste pratiche sono note, va rilevato che La Culée de Serrant, avendo scelto di utilizzarle tutte (e tutte insieme) a partire dal 1984, è divenuta fin dagli anni ’90, anche grazie al livello indiscusso dei suoi vini, il punto di riferimento per i viticoltori biodinamici e naturali. Anche Nicolas Joly ha contribuito personalmente a ciò con un incessante lavoro di divulgazione dei principi della biodinamica, in numerose conferenze tenute in giro per il mondo.
Tornando però ai vini, oggi la cantina ne produce tre: Les Vieux Clos, dalle viti più giovani, Le Clos de la Bergerie, da quelle di età intermedia (25 anni circa), e il Clos de La Coulée de Serrant, da quelle più vecchie (40 anni con alcuni esemplari di 80). Quest’ultimo, che è divenuto, nel tempo, un vino iconico, leggendario, la summa del Joly-pensiero, nasce da sette ettari piantati con una densità che varia dai 4800 ai 6700 ceppi di Chenin Blanc per ettaro, su terreni scistosi ricchi di quarzo, con una resa tra i 20 e i 25 ettolitri, sempre per ettaro (non più di mezzo chilo d’uva per pianta). Dopo i passaggi di vinificazioni precedentemente elencati, il vino matura per 6-8 mesi in legno (nuovo al 5%) e, quindi, viene filtrato in maniera leggerissima e imbottigliato con una impercettibile addizione di solfiti, prima della messa in commercio.
L’annata 2011 sfoggia un colore dorato intenso, con un ventaglio olfattivo che si apre su note di albicocca disidratata, pesca sciroppata, arancia candita e zafferano, seguite da olio essenziale di cedro, fiori bianchi appassiti, erbe aromatiche e miele millefiori, con echi conclusivi di eucalipto, gessosi e iodati. Il palato è da vero cavallo di razza, con la freschezza balsamica che si alterna alla morbidezza glicerica, arricchito da una punta di pepe bianco; il tutto mentre ritornano la frutta bianca surmatura e lo iodio che accompagnano il sorso fino a una chiusura di buona lunghezza.
Punteggio: 90/100
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