La storia indica il 1830 come l’anno intorno al quale si può legittimamente determinare la nascita ufficiale del Barolo, definito con una frase, erroneamente attribuita al conte Camillo Benso di Cavour, che suonava così: “il re dei vini, il vino dei re”. Dopo 200 anni il Barolo è vivo e marcia con noi, e questo ha comportato due conseguenze: la prima è stata l’esplosione del “fenomeno-Langhe”, la seconda è stato il fatto che le Langhe stesse hanno quasi totalmente monopolizzato il mondo della critica, nonostante li Piemonte sia ricco di enclave produttive, in cui il Nebbiolo dà vita a produzioni affascinanti. Pur non essendo possibile stabilire una data definitiva, anche perché parliamo di un work in progress tutt’ora in atto, gli enoappassionati hanno cominciato a riscoprire queste altre enclave produttive, soprattutto quelle collocate nel Piemonte Settentrionale.
Nel cuore delle Alpi Occidentali sono presenti macroaree originate da un Supervulcano che, intorno a 300 milioni di anni fa, esplose con un’immensa eruzione e la potenza di 250 bombe atomiche. L’emersione dei suoi resti, intorno ai 40 milioni di anni fa, oltre ad aver formato le suddette Alpi Occidentali, ha dato origine a terreni del tutto peculiari, le cui caratteristiche sono costanti fino a 30 chilometri al di sotto del suolo. In quest’area (che fa parte del Sesia-Val Grande Geopark, riconosciuto dall’UNESCO) rientra l’Alto Piemonte, una terra ricca di denominazioni pregiate come Boca, Bramaterra, Coste della Sesia, Fara, Gattinara, Ghemme, Lessona e altre.
In questo areale, appena due chilometri a sud di Lessona, ha sede la cantina Pietro Cassina, in cui Pietro porta avanti la sua eccellente produzione enologica, coadiuvato dalla moglie e dai suoi figli. Si tratta di una cantina che ha continuato a operare privatamente, anche quando i contadini abbandonarono quasi del tutto i 40.000 ettari di vigneti allora esistenti, impauriti dalle continue grandinate e dall’arrivo della Fillossera nei primi anni del ‘900. Alcuni trovarono lavoro nelle catene di assemblaggio di rubinetteria costruite sulla riva sinistra del Sesia, altri nelle industrie tessili create sulla riva destra, ma la famiglia Cassina seppe tenere il punto, preservando i suoi sette ettari di vigneto, e oggi la sua esperienza è più che mai preziosa per il rilancio della produzione vitivinicola locale, estesa per appena 1300 ettari totali.
Pur rifiutando facili classificazioni di naturalità, l’Azienda porta avanti un discorso ecologico, con l’ambiente circostante, di primissimo livello, attraverso una serie di misure, come ad esempio la creazione di una nuova cantina ipogea, su tre piani, in cui i vari passaggi di vinificazione avvengono per caduta, sfruttando la forza gravitazionale e non stressando le uve ed i vini. L’umidità e la temperatura interna della cantina vengono mantenute costanti grazie alla sua particolare conformazione, ideata in fase di progettazione. Infine, è degno di nota anche il fatto che la cantina sia stata dotata di un sistema di pannelli fotovoltaici che garantiscono la copertura dell’intero fabbisogno energetico annuale.
Parlando di contenitori per l’affinamento, Pietro è stato un pioniere nella scelta di servirsi di botti di Rovere Svizzero e Austriaco (per esempio di Stockinger), passando successivamente ad una produzione che nasce a chilometro 0. Per l’edificazione della nuova cantina in località Cascina Chignalungo, Pietro ha abbattuto dei roveri da cui ha ricavato le migliori tavole di questi legnami durissimi e dal basso spettro aromatico, da stagionare per poi essere inviate ad esperti assemblatori di botti, sempre austriaci e svizzeri, i quali avranno il compito di creare i contenitori secondo le indicazioni date da Pietro Stesso.
Anche in vigna gli accorgimenti sono molteplici, a partire dalla tutela dell’ambiente circostante i vigneti, composto da boschi (nati dopo l’abbandono dei vigneti che ho accennato), e dalla salvaguardia della microfauna (soprattutto lombrichi e api), in grado di contrastare naturalmente l’effetto dei parassiti dannosi. Per irrigare piante e giardini, e a raffreddare alcuni ambienti della cantina, si fa ricorso a una grande vasca (costruita sotto terra per mantenere fredda la temperatura dell’acqua) dalla capienza di 200.000 litri, il cui livello viene mantenuto costante grazie ad un sistema di grondaie, che vi fanno confluire l’acqua.
Per quanto riguarda la coltivazione della vite, l’Azienda concima i vigneti principalmente con letame di cavallo, e conduce la lotta contro le malattie, solo laddove strettamente necessario, con dosi contenute di zolfo e rame. Nonostante i terreni siano altamente drenanti, Pietro mette in competizione tra loro le viti, piantandole ad una densità di poco inferiore ai 5000 ceppi per ettaro, da cui raccoglie non più di 40 quintali ad ettaro, con una resa media per pianta inferiore al chilo.
Tra i vini prodotti, un posto di rispetto lo merita sicuramente il Coste della Sesia DOC Ciuèt, un Nebbiolo in purezza, coltivato in vigneti giacenti sui terreni acidi della Tenuta Cascina Chignalungo (Comune di Lessona), a 290 metri slm, con un’esposizione Sud-Est/Sud-Ovest. Dopo una prima cernita in pianta, le uve vengono raccolte in cassette di 7-9Kg di capacità e, quindi, inviate alla cantina, per sostenere una seconda cernita, su tavolo vibrante, la diraspatura e una delicata pigiatura. La Fermentazione spontanea, e la conseguente macerazione, richiedono da una a due settimane, alla temperatura costantemente inferiore ai 28° C, con doppia follatura e rimontaggio quotidiani. Anche se il periodo di affinamento è strettamente legato al fatto che Pietro reputi un vino adatto o meno ad essere immesso sul mercato, in linea di massima, questa referenza sosta circa cinque anni in botti di Rovere di sezione ovale, e un periodo grossomodo simile in bottiglia.
L’annata 2012 sfoggia un colore rosso rubino vivo e palpitante, con uno spettro olfattivo che si apre su note di petalo di rosa, mora selvatica, ribes rosso e arancia sanguinella, seguite da humus, chiodo di garofano, tabacco Kentucky e incenso scuro, con echi conclusivi ematici e balsamici. Il palato è consistente, più di quanto ci si aspetterebbe da un nebbiolo così settentrionale, con un tannino gentile ma presente, una buona componente citrica astringente e la parte sapida minerale che fanno da cornice a una timida ma chiara componente fruttata e floreale; il tutto accompagnato dal ritorno dalla spezia più austera e dal tabacco che accompagnano il sorso a una chiusura di buona lunghezza.
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