Secondo quanto riportato dalle fonti ufficiali, all’inizio del ‘900 Donna Maria Costanza, un’antenata della famiglia Milazzo, coltivava la vite e, in una piccola cantina di Campobello di Licata, ne produceva vini apprezzati dalla clientela locale. Bisognerà aspettare la fine degli anni ’60 per vedere nascere, per mano di Giuseppe Milazzo, l’omonima Azienda Agricola G. Milazzo, sempre a Campobello di Licata, ma si può affermare che la strada era già tracciata. L’intenzione dell’azienda era, fin dall’inizio, quella di lavorare seguendo il doppio binario della rivalutazione dei vitigni tradizionali e territoriali, e della sperimentazione sui cosiddetti vitigni internazionali (soprattutto lo Chardonnay). Dopo oltre mezzo secolo di storia la cantina, guidata da Giuseppina Milazzo e dal marito Saverio Lo Leggio, continua sulla strada tracciata dal fondatore con l’obiettivo di mantenere alta la reputazione dei suoi vini.
Uno dai primi accorgimenti adottati, già negli anni ’70, da questa cantina fu quello di apporre come marchio, sopra il collo delle bottiglie prodotte, una riproduzione del Martin Pescatore, un uccello estremamente delicato che, per vivere, ha bisogno di un ambiente sano e incontaminato. Si trattava di una scelta che serviva a spiegare all’acquirente quanto la cantina avesse a cuore un approccio biologico e “pulito”, in ogni fase della produzione, in un’epoca in cui non esistevano ancora certificazioni ufficiali. Attualmente quel marchio è rimasto, anche se l’azienda gli ha affiancato la certificazione biologica, e sta già implementandola con azioni volte a ridurre drasticamente le emissioni di CO2.
I 75 ettari di vigneti di proprietà si trovano a circa 400 metri di altitudine, in un raggio inferiore ai 5 kmq, su terreni che vanno dalle argille scure ricche di sostanza organica a quelle bianche calcaree. Qui le viti, piantate ad una densità media di 5000 ceppi per ettaro, vengono accudite quasi esclusivamente manualmente, con la semplice concimazione organica. Nel periodo vendemmiale, dopo una prima selezione in pianta, le uve sono raccolte in cassette di circa 15 kg e portate in cantina, dove vengono stoccate in apposite celle a temperatura controllata. Le fasi di vinificazione son gestite con un attento ricorso alla tecnologia del freddo, che consente di gestire in modo equilibrato le fermentazioni e le macerazioni, in una cantina quasi interamente sotterranea che garantisce una temperatura media costante ideale.
Impossibile parlare di questa cantina senza citare il loro Duca di Montalbo, un vino prodotto solo nelle annate migliori da un blend di Nero d’Avola e Nerello Cappuccio, da piante di oltre 50 anni di età, coltivate in località Montalbo, su un altopiano di marne e argille calcaree. Dopo la selezione manuale in vigna si procede alla vinificazione, con costanti rimontaggi e lunga macerazione sulle bucce, seguita dalla malolattica svolta in barrique per il Nero d’Avola e in botti grandi per il Nerello Cappuccio. Il vino matura poi per quattro anni, sempre parte in barrique e parte in botti grandi, prima di effettuare un periodo di decantazione in vasche d’acciao e, dopo l’imbottigliamento, un lungo affinamento in vetro.
L’annata 2004 sfoggia un colore rosso davvero concentrato e intenso, con screziature purpuree, e un ventaglio di aromi che si apre su note di prugna cotta, creme de cassis, mora selvatica e pout pourri, seguite da macchia mediterranea, liquirizia, cioccolato fondente e tabacco dolce da pipa, con echi conclusivi boisée di cuoio scuro, vinile e caffè tostato. Il palato colpisce per la grande matericità, con una evidente morbidezza controbilanciata da buona freschezza balsamica e sapidità, incastonate in mezzo a una trama tannica di grande eleganza: il tutto impreziosito dal ritorno della frutta e delle spezie che persisto anche dopo una chiusura di ottima lunghezza.
Punteggio: 91/100
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