
La famiglia Benanti di Bologna non avrebbe certo pensato che un suo discendente avrebbe finito per occuparsi di produzione vitivinicola in Sicilia quando un loro membro vi venne inviato nel 1734 dal re Vittorio Amedeo d’Aosta. L’Etna era un vulcano la cui fertilità rendeva le terre circostanti estremamente vocate alla produzione vitivinicola, al punto che la vicina città di Catania aveva raggiunto il primato della produzione siciliana a metà del 1800, arrivando a possedere anche una scuola di enologia (1881) e un ufficio enologico proprio (1886). Questa terra così prosperosa non lasciò indifferente Giuseppe Benanti che, a fine ‘800, iniziò a “fare vini sul vulcano”, con una passione e una determinazione rimaste immutate e tramandate di generazione in generazione. Sarà però un altro Giuseppe Benanti nel 1988 a dare una forma ufficiale a questa tradizione produttiva, costruendo una cantina chiamata Tenuta di Castiglione e ribattezzata, nel 1998, semplicemente Benanti.
L’intenzione è fin dall’inizio quella di produrre vini quasi esclusivamente da vitigni autoctoni quali Carricante, Minnella, Nerello Cappuccio e Nerello Mascalese. Per riuscire in questo intento Giuseppe riunisce intorno a sé un gruppo di lavoro, un vero dream team enologico, che avrebbe affiancato il giovane enologo Sandro Foti (la cui fama attuale è tanto conclamata quanto la bontà dei vini prodotti). Gli anni ’90 sono anni di sperimentazioni e dei primi successi, fino ad arrivare al 2007 quando il Gambero Rosso premia Benanti come “Cantina dell’anno”. Da allora Benanti non ha smesso di essere fonte di ispirazione per chi volesse risolversi a produrre vini sull’Etna con le quasi 200.000 bottiglie annue che vengono consumate per il 70% in giro per il mondo, fungendo da vere e proprie “ambasciatrici del vulcano”.
Uno degli ultimi vini entrati in produzione è l’Etna Rosso Riserva Rovittello Parcella n.341 che, dopo anni di onorata carriera, ha preso il posto del semplice Etna rosso Rovittello, a partire dal 2015. Come si può intuire dal nome, si tratta di un vino ricavato da un singola particella su cui crescono viti centenarie, e per la maggior parte prefillossera, composto da Nerello Mascalese (90%) e Nerello Cappuccio (10%). I vigneti, a 750 metri di altezza, sono allevati con il tradizionale sistema ad alberello, con una densità di impianto che va dai 9.000 ai 10.000 ceppi per ettaro ed una resa che supera di poco il mezzo chilo per pianta: pochi frutti ricchi e concentrati. Dopo la vendemmia rigorosamente manuale, ed una prima selezione sempre manuale, le uve fermentano a temperatura controllata (25°C) con una lunga macerazione; il tutto per mezzo di lieviti indigeni selezionati in vigna, isolati e riprodotti in cantina. Alla fermentazione malolattica, in acciaio, segue l’affinamento in botti da 15 hl di legno, per due anni, e, successivamente, quella in bottiglia, per un altro anno, prima della commercializzazione.
L’annata 2015, la prima prodotta, sfoggia un colore rubino delicato, con alcune screziature granato, e un ventaglio olfattivo che parte con note di pot pourri, vinile, cerasa croccante e prugna cotta, seguite da ribes rosso, fico d’india surmaturo, fiore di zagara e mandorla tostata, con echi conclusivi di humus, macchia mediterranea e lievi tocchi boisée. Il palato colpisce per l’estrema eleganza con cui la morbidezza è arricchita dalla freschezza balsamica e dalla sapidità minerale, con un tannino setoso ben presente, e una punta di pepe nero; il tutto accompagnato dal ritorno della frutta rossa e delle spezie che guidano il sorso fino ad una chiusura di eccellente lunghezza.
Punteggio: 93/100
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