
Quando si parla di Edi Kante bisognerebbe sempre partire dal presupposto che si tratta di uno dei più influenti viticoltori del Carso, nell’estremo quadrante centro-orientale del Friuli Venezia Giulia. Questa terra ha una storia bagnata dal sangue di oltre 1.500.000 soldati, sia Italiani che Austro-Ungarici, deceduti durante la Prima Guerra Mondiale, ed ha vissuto, come logica conseguenza di un tale bagno di sangue, un periodo di terribile recessione economica, a cui si pose rimedio soltanto col piano di rilancio varato a partire dal 1950. Nonostante questo piano, la viticultura carsolina era rimasta piuttosto arretrata e si caratteizzava per una produzione di scarsa qualità incentrata su due tipologie di vino: il bianco, un blend elementare delle varie uve a bacca bianca, e un rosso, il corrispettivo ottenuto dalle uve a bacca rossa.
Edi, subentrato nell’azienda paterna nel 1980, si promise da subito di superare questo livellamento verso il basso partendo dalle fondamenta: il sistema-vigneto. La sua opera si tradusse nella creazione di vigne ricavate dalle doline (conche di terra fertile che emerge tra le rocce carsiche) o da terreni sassosi, attraverso una difficile opera di adattamento di questi ultimi, tramite la rimozione o la frantumazione delle rocce e l’aggiunta di alcuni centimetri di terra rossa. Quest’ultima “correzione” dello scheletro del terreno diede modo alle sue viti di crescere e, solo successivamente, permettere alle radici di scavare nella roccia alla ricerca di nutrimento.
Per quanto riguarda le tecniche di allevamento non si può dimenticare la sua decisione, inizialmente insolita in quelle zone, di piantare vitigni ad alta densità (oltre 8.000 ceppi per ettaro), di ottenere una resa molto bassa dalle sue viti (non più di mezzo chilo di uva per ogni pianta) e di adottare un approccio generale di tipo biologico-naturale. La cantina, inoltre, fu una delle prime ad essere costruita interrata, sviluppata fino a 20 metri di profondità, divisa in tre livelli, per consentire ad ogni fase della vinificazione di svolgersi (per caduta gravitazionele) nell’ambiente con la corretta umidità e temperatura. Anche all’interno della cantina, infine, Edi è stato un pioniere, con i suoi vini ottrenuti da lunghe macerazioni (è uno dei papà dei cosiddetti”orange wines”), con l’abbandono quasi totale dell’addizione di SO2 e l’invecchiamento dei vini in barrique esauste per consentirne l’adeguata evoluzione.
Uno dei colpi di genio di Edi è senza dubbio l’Extrò, un vino di cui si sa poco o niente, una sorta di gioco inventato per togliere al degustatore il mistico cerimoniale dell’assaggio, spingendolo a superarlo e a abbracciare questo vino senza preconcetti o sovrastrutture. Sui vigneti di provenienza, i vitigni che lo compongono, l’annata di produzione e le tecniche di vinificazione e affinamento è mantenuto il più stretto riserbo. Quello che si può dire è che è un vino ormai uscito di produzione (consideratevi fortunati se ne avete una in cantina come me) per cui lo stesso produttore indica specificamente la modalità di consumo nell’etichetta, con la scritta “agitare la bottiglia prima di versare“.
Dopo aver eseguito alla lettera le istruzioni, il vino sfoggia un colore tra un intenso giallo paglierino e l’aranciato, completamente opaco e velato, per via di un imbottigliamento con le fecce fini, una sorta di gioco intellettivo in cui viene portata all’estremo la scelta di Edi che, normalmente, non filtra né chiarifica i suoi vini. Il ventaglio olfattivo è davvero curioso perchè unisce i richiami di un tipico vino bianco, con kumquat, pompelmo rosa, albicocca disidratata e clorofilla, a quelli delle fecce, con un accenno di pan brioche, tutto contornato da timo, miele di corbezzolo, salvia bianca e zafferano, ed echi conclusivi di roccia umido-iodata. Il gusto è subito dominato da una pienezza quasi glicerica che si alterna ad una notevole e gustosa acidità, con una mineralità sapido-iodata che lentamente evolve al centro del palato, il tutto contornato dal ritorno del kumquat, del pan brioche e della roccia che persistono anche dopo una chiusura di buona lunghezza.
Punteggio: 91/100
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