Ci sono alcune occasioni in cui risulta problematico raccontare una cantina senza scadere nelle ovvietà che, inevitabilmente, porta una fama del calibro di quella che, a buona ragione, può vantare Fontodi. In realtà questa storia inizia diverse generazioni fa per via della fama della famiglia Manetti (proprietaria della cantina) nella produzione del cotto, al punto da fornirlo anche per il rivestimento della cupola del Duomo di Firenze e per il rifacimento della pavimentazione della Galleria degli Uffizi. Come spesso accade però, arriva il momento di differenziare gli investimenti e così, nel 1968, la famiglia acquista l’azienda agricola Fontodi nell’areale di Panzano in Chianti, a metà strada circa tra Firenze e Siena.
I terreni di pertinenza della cantina si sviluppano nella cosiddetta “conca d’oro”, un altopiano esposto a sud, tra i 350 e i 500 metri di altitudine, perfettamente illuminato, che consente, all’interno del microclima caldo, una importante escursione termica. Qui Giovanni Manetti, vero deus ex machina della cantina, comincia a sperimentare la produzione di Chianti Classico e Chianti Classico Riserva, alla ricerca di un’eccellenza espressiva ben presente in mente ma ancora lontana dal suo raggiungimento pratico. Sarà l’incontro, nel 1979, di Giovanni con un giovane enologo, Franco Bernabei, animato della stessa volontà di sognare in grande, a costituire il punto di svolta della cantina, a partire da un intenso lavoro di miglioria dei vigneti.
Mentre la cantina, infatti, veniva rimodernata per poter condurre processi di vinificazioni efficaci e aggiornati, nei campi si procedeva in due direzioni: tutela del patrimonio vitivinicolo preesistente e implemento di nuovi vigneti ad alta densità d’impianto, il tutto seguendo, a partire dagli anni ’90, disciplinari di carattere biologico. Da allora in vigna sono state abbandonati i prodotti chimici di sintesi e la concimazione si basa sul riciclo integrale dei prodotti di scarto, essendo composta da residui di potatura e letame prodotto dall’allevamento vaccino presente in cantina. Anche la cantina è attenta al basso impatto ambientale, con il passaggio tra le varie fasi della vinificazione esclusivamente per forza gravitazionale.
Tra quasi 170 ettari di terreni di proprietà, 80 dei quali destinati a vigneto, sotto la Pieve di San Leonino, nei pressi di un antico villaggio romano noto come “pagus Flaccianus” (il “piccolo Flacciano”= “Flaccianello”) si trova il vigneto con la miglior esposizione dell’intera cantina, quello da cui, nel 1981, nacque uno dei più celebri Supertuscans: il Flaccianello della Pieve. Si tratta di un Sangiovese in purezza, piantato a una densità di 6000 ceppi per ettaro, le cui uve, una volta selezionate in pianta e vendemmiate manualmente, arrivano in cantina dove svolgono una fermentazione a temperatura controllata, per mezzo dei lieviti indigeni. Il vino ottenuto maturerà, quindi, per due anni in barrique di Allier e Tronçais prima dell’imbottigliamento senza filtrazione e della commercializzazione.
L’annata 2010 sfoggia un colore rubino senza la minima perdita di concentrazione, con un ventaglio olfattivo che si apre su note di polvere pirica, prugna cotta, marasca e mora di rovo, seguite da pot pourri, vaniglia, carrubo e caffè tostato, con echi conclusivi di sottobosco, cuoio scuro e goudron. Il palato è incredibilmente sfaccettato e potente, senza però cedere di un centimetro in termini di tensione e verticalità, con un tannino deliziosamente incisivo e una punta di pepe nero; il tutto arricchito dal ritorno della frutta rossa e dalle spezie scure che accompagnano il sorso fino a una chiusura quasi interminabile.
Punteggio: 95/100