
Nell’entroterra di quel continente racchiuso in un’isola che è la Sardegna, in Barbagia, sorge un piccolo paese di circa 2500 abitanti che gode di 400 ettari di terre (suddivise tra 200 famiglie diverse) in cui l’uva Cannonau ha trovato il migliore degli habitat possibili. In questa zona infatti, i vigneti crescono anche a 1000 metri di altezza, con un’altitudine media di oltre 700, e la vite, allevata ad alberello basso, ha trovato un microclima così favorevole da riuscire a rimanere in salute per molti anni (un terzo delle piante ne ha più di 50).
In queste terre, negli anni ’70, Giuseppe Sedilesu cominciò a produrre vino sfuso, commercializzato nei paesi limitrofi, da un ettaro di terreno condotto a mezzadria. Il successo di quei vini lo portò ad acquistare, con molti sacrifici, cinque ettari, il primo vero nucleo dell’omonima cantina Giuseppe Sedilesu, e ad imbottigliare nel 2000 le prime mille bottiglie del Cannonau Mamuthone, già allora uno dei suoi vini più celebri. Oggi gli ettari di proprietà sono diventati 15, è stata inaugurata la nuova cantina (nel 2009), la produzione ha superato le 100.000 bottiglie, e le sorti della cantina sono decise da Salvatore Sedilesu, il figlio di Giuseppe, con i suoi fratelli Francesco e Antonietta, e con i rispettivi familiari.
In vigna si pratica una viticoltura sostenibile, favorita dalle condizioni climatiche dei vigneti di proprietà (a 650 metri di altitudine) cui si è fatto cenno prima, unita a un lavoro in vigna di tipo tradizionale/manuale con il ricorso occasionale all’ausilio di strumenti agricoli trainati da buoi. Anche in cantina vige lo stesso approccio: le fermentazioni avvengono spontaneamente, con i lieviti indigeni, non vengono operate filtrazioni e i vini affinano in ambienti inerti come le vasche di cemento o le grandi botti esauste di rovere.
Nonostante la cantina sia celebre per i suoi cannonau, vale la pena ricordare che in alcune vigne esistono piante tra i 50 e i 100 anni di età di un vitigno a bacca bianca, quasi completamente dimenticato, che è noto con il nome di Granazza. Da questo vitigno nasce l’omonimo vino Granazza che, dopo la vinificazione svolta in vasche di cemento, come scritto in precedenza, matura per circa 9 mesi sempre in cemento e, quindi, viene imbottigliato senza filtrazione.
L’annata 2015 sfoggia un colore giallo paglierino intenso, con un ventaglio olfattivo che si apre su note di albicocca disidratata, pesca gialla, arbusti selvatici e the verde, seguite da marmellata di arance amare, tarassaco, macchia mediterranea e humus, con un eco conclusiva di ciottoli umidi. Il sorso si caratterizza per una immediata ricchezza e morbidezza, arricchite dalla componente sapido-minerale e dalla buona acidità a bilanciare il sorso, il tutto mentre per via retro-olfattiva ritornano la frutta gialla, l’arancia amara e l’humus che accompagnano il sorso fino ad una chiusura di buona lunghezza.
Punteggio: 88/100
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