Talvolte la vita fa dei percorsi strani, e così un rampollo di una celebre famiglia di medici-chirurghi, Felice Sperino, dopo aver intrapreso gli studi della professione di Esculapio, resta casualmente folgorato da alcuni registri, conservati nella biblioteca della casa nobiliare, in cui sono contenute le dettagliate descrizioni di numerose vendemmie del 19° secolo.
Siamo a Lessona, e da quel momento la famiglia Sperino comincia gradualmente ad avvicinarsi al mondo della produzione enologica, individuando proprio nella biblioteca il cuore pulsante dell’impresa, al punto che, anno dopo anno, tutte le decisioni più rilevanti della cantina vengono prese al suo interno, nonostante, dal 1999 la cantina sia passata nelle mani della famiglia De Marchi, cugini degli Sperino e già presenti nel 1905.
È anche grazie grazie all’impressionante lavoro degli Sperino/De Marchi che oggi si torna a parlare di Alto Piemonte come di una delle zone più nobili del panorama vitivinicolo italiano, grazie a terreni, sabbiosi a Bramaterra, e rocciosi a Lessona, con un’acidità tra le più alte a livello mondiale, con un pH che oscilla tra 4,5 e 5,5; terreni difficili da coltivare ma in grado di restituire una delle più eleganti espressioni del Nebbiolo che sia possibile incontrare nel bicchiere.
L’approccio in vigna è ispirato alla tutela di un bene così prezioso, attraverso pratiche di viticultura non invasiva, rifiuto di trattamenti chimici di ogni genere, inerbimento dei filari, e utilizzo dei lombrichi rossi della California, per produrre il vermicompost. In sintesi ai lombrichi viene dato da mangiare gli stralci della potatura, il letame degli animali presenti nell’azienda, e le vinacce che, una volta digeriti ed espulsi, vengono mescolati con alghe e altri composti microbiologici naturali.
Tutte queste pratiche richiedono una profonda conoscenza, e quindi l’azienda è attivamente impegnata nella formazione tecnica dei suoi dipendenti, ad ogni livello, anche perchè, avendo rinunciato alle macchine agricole, a vantaggio della meccanica umuana, quest’ultima richiede 800 ore di lavorazione annuali per ogni ettaro.
Non contenti di tutto ciò, i proprietari hanno intrapreso, nel 2003/2004, progeti come l’individuazione del miglior clone di Nebbiolo da impiantare nelle loro vigne e, dopo uno studio durato 15 anni, grazie alla collaborazione con l’università di Torino, è stato individuato il clone di Nebbiolo più adatto per quei terreni: la Spanna.
A dirla tutta, in quella zone, tutto il Nebbiolo viene chiamato Spanna, ma non era mai stato isolato il ceppo che meritava, studi alla mano, quella qualifica, e così, nel 2017, Proprietà Sperino ha piantato la prima vigna con barbatelle di Spanna certificate (parte della vigna Monfalcone).
Anche in cantina, i De Marchi hanno operato un vero ritorno alle origini, recuperando la cantina ottocentesca e soprattutto maneggiando l’uva con tecniche di un lontano passato: selezione manuale delle uve, col solo aiuto degli occhi, fermentazione spontanee, senza controllo della temperatura, in tini aperti di legno dove le uve sono convogliate per gravità.
Insomma, da Proprietà Sperino si respira tradizione in ogni angolo ma… ma anche questa cantina ha il suo dirty little secret, figlio dell’anima massonica piemontese, un vino per pochi eletti, fuori dagli schemi, banditesco, un piccolo gioiello anarchico da riservare solo per gli amici giusti: sto parlando del ‘L Franc, nientepopodimeno che un Cabernet Franc, prodotto esattamente con le medesime tecniche degli altri vini dela cantina!
L’annata 2010, un’annata di grazie, inutile negarlo, consegna al bicchiere un vino rubino intenso con un lieve principio di bordo aranciato, in cui a farla da padrone sono i frutti rossi molto maturi quali ciliegia scura, mora di rovo, prugna cotta e dattero, seguiti da violetta appassita, rosa canina, chiodo di garofano e sigaro toscano, con una chiusura molto “altopimontese” di corteccia umida e sottobosco.
Il palato, nonostante i 14° C non risulta per nulla affaticante, grazie a una freschezza e una balsamicità in grado di smorzare l’ampiezza palatale, coadiuvate in ciò dalla tipica sapidità lessonese, il tutto scandito dalla setosità del tannino.
La Chiusura è lunga, e costellata di rimandi tra cui spiccano, per intensità, la mora di rovo, il sigaro toscano, una punta di incenso e la corteccia umida.
RATING: ⭐⭐⭐⭐⭐
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