Nel 1899 l’ingegner Erminio Sella e l’avvocato Edgardo Mosca partirono dal Piemonte verso la terra di Sardegna con lo scopo di bonificare un vasto territorio in località I Piani, presso Alghero, in provincia di Sassari, e trasformarlo da pascolo a vigneto. Da allora quelle terre hanno fatto la storia della viticultura sarda e, anche se la proprietà è passata al Gruppo Campari (nel 2002) e, in seguito, alla famiglia Moretti (dal 2016), la ricerca della qualità non è venuta mai meno.
Nonostante la grande estensione, la cantina è impegnata sempre di più in forme di viticultura ecosostenibile e biologica, con lo scopo di mantenere in salute la biodiversità dei vigneti e, di conseguenza, anche la salute delle viti stesse. Gli stessi vigneti, ad esempio, sono intervallati da viali alberati di oleandri, palme, pini marittimi, eucalipti e altre specie della macchia mediterranea, inerbiti con svariate essenze utilizzate anche nella lotta naturale ai parassiti della vite. Per valutare lo stato di salute dei vigneti è stata creata persino un’oasi di cinque ettari, un’opera che salvaguarda tutte le specie di flora e fauna locale e la cui salute funge da cartina tornasole della salute generale. Anche in cantina viene ricercato il massimo risparmio energetico possibile unitamente a quello delle risorse idriche che rappresentano, storicamente, un bene tanto prezioso quanto scarseggiante nell’isola.
Per quanto riguarda i vini prodotti merita attenzione la nuova linea nata dalla collaborazione tra la cantina e lo stilista sardo Antonio Marras, direttore artistico di Kenzo dal 2003. Antonio, cui era stato richiesto di disegnare le etichette di quattro nuovi vini, prodotti con i vitigni più rappresentativi, si è spinto oltre, creando una vera e propria storia legata a ognuna delle quattro bottiglie. Il Mustazzo, ad esempio, è un Cannonau da viti ad alberello, ultracentenarie, che crescono nel cuore della Sardegna, a Mamoiada, a più di 600 metri di altitudine, la cui etichetta ritrae una figura baffuta (i “mustazzus” in Sardegna sono i baffi) ispirata al fenomeno del banditismo sardo. La “ricetta” di questo vino è piuttosto semplice: le basse rese ottenute (circa un chilogrammo per pianta) vengono diraspate e, successivamente, pigiate con molta delicatezza, prima di venir accompagnate nella macerazione con frequenti delestage. Il vino ottenuto affina in un mix di legno e cemento, svolgendo anche la fermentazione malolattica, prima dell’imbottigliamento e della commercializzazione.
L’annata 2016 sfoggia un colore rubino di eccezionale concentrazione, e un ventaglio olfattivo che si apre su note di mora selvatica, marmellata d’amarena, carrubo e mirto, seguite da elicriso, pepe nero e chiodo di garofano, con echi conclusivi di macchia mediterranea e sottobosco fungino. Il palato si sviluppa su temi decisamente morbidi e caldi, anche se non manca quel tanto di freschezza, più balsamica che agrumata, necessaria a tenere i piedi il sorso; il tutto arricchito da un tannino elegante e levigato, e dal ritorno della frutta rossa e della macchia mediterranea che persistono anche dopo una chiusura di ottima lunghezza.
Punteggio: 89/100
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