Nonostante sia relativamente facile dimostrare che la coltivazione della vite nella Penisola Salentina risalga a oltre 4000 anni fa, resta tuttavia innegabile che in quell’areale (oggi corrispondente grossomodo alla parte più meridionale della Puglia) la viticoltura, come oggi la concepiamo, era qualcosa di sconosciuto ancora a fine anni ’60. Per dare un idea di questa situazione, basti pensare che la Famiglia Taurino, pur avendo cominciato a interessarsi di viticoltura da sette generazioni, ancora a metà del 20° secolo spediva i suoi vini sfusi al Nord dove, grazie alla loro la loro ampiezza e al generoso profilo gustolfattivo, venivano utilizzati per dare più corpo, alcol e colore a vini indigeni eccessivamente “scarichi”. Il punto di svolta arrivò intorno a quel periodo grazie a Cosimo Taurino che, abbandonata la professione di farmacista, prese in mano le redini dell’azienda, convinto che le uve e vini prodotti avessero il potenziale per essere imbottigliati e commercializzati in maniera indipendente.
Non è un caso che oggi Cosimo venga reputato uno dei pionieri, probabilmente il più rilevante, della viticoltura salentina, questo perché oltre al potenziale dei suoi vini, Cosimo intuì anche come fosse necessario iniziare a tessere una fitta trama di pubbliche relazioni, che aiutassero i potenziali clienti a prendere coscienza del livello vitivinicolo di quell’areale. Ancora oggi, a oltre 20 anni dalla sua dipartita (1999) il pensiero di Cosimo è alla base del successo di cui i viticoltori salentini godono; successo che ha permesso alle “nuove leve” di conquistare fette sempre più importanti di mercato con vini di pregevole fattura e con una cifra stilistica di assoluto rispetto. Nel frattempo l’azienda che porta con orgoglio il nome di Cosimo Taurino viene condotta dalla moglie Rita e dalla figlia Rosanna, con suo marito Fernando Antonio; tre persone che gestiscono tutto: dai vigneti alla cantina, dalla commercializzazione alle pubbliche relazioni.
Al fine di mantenere e, dove possibile, innalzare il livello qualitativo dei suoi vini, l’azienda ha di recente terminato diversi lavori di ammodernamento e ampliamento dei locali di vinificazione, creando anche, al loro interno, un moderno showroom. Tornando alla zona di vinificazione, il lavoro più rilevante ha riguardato i fermentini e le vasche in cemento, che sono stati vetrificati e dotati di piastre di raffreddamento, per consentire un controllo più preciso delle temperature di fermentazione e di affinamento. Una menzione particolare la merita, infine, la barricaia dove è stato realizzato un sistema di cascate d’acqua, sempre a temperatura controllata, che garantiscono umidità e temperatura ideali.
Nel caso non si fosse capito, ho un debole per i vini di questa cantina e, in particolar modo per il suo Patriglione, un Negroamaro Salento IGT che, con la sua generosa eleganza, è stato letteralmente la chiave che ha aperto le porte di tanti ristoranti ed enoteche ai vini di questa cantina. Non esito a dire che si tratta di un vino emozionante, nato nel 1975 dall’intuizione di Cosimo e dalla sua collaborazione con un giovane enologo, Severino Garofano, che, dopo il successo del Patriglione, diventerà il più celebre enologo salentino, dando vita a tanti altri capolavori.
Tornando a noi, il vino nasce nel comune di Guagnano (Lecce) da un vigneto in pianura di 15 ettari, denominato Patriglione, piantato esclusivamente a Negroamaro, con la tradizionale tecnica dell’alberello, a una densità di 6000 ceppi per ettaro, dal’età compresa tra i 60 e i 70 anni. Le uve, la cui resa non supera i 600/700 grammi per pianta, vengono vendemmiate in lieve surmaturazione a metà ottobre e, quindi, portate in cantina, dove fermentano, in cemento vetrificato, a circa 25° C, per circa 10/15 giorni e macerano, nelle stesse condizioni, per 8/12 giorni. L’affinamento, di un anno, avviene in barrique (20% nuove, 30% secondo passaggio, 50% terzo passaggio) ed è seguito dall’imbottigliamento, e da un successivo periodo di riposo in vetro piuttosto lungo e non codificato, questo perché il vino viene immesso in commercio soltanto quando i proprietari lo reputano “pronto”.
Avevo assaggiato l’annata 2016 a una degustazione, a dicembre dell’anno scorso, e l’avevo trovata eccezionale, ragion per cui non vedevo l’ora di acquistarlo e riprovarlo con tutta calma, anche se, da quella degustazione, è dovuto passare un anno. Finalmente, a novembre di quest’anno, ho trovato un solo rivenditore online che lo commercializzava e ho potuto procedere all’agognato acquisto. Qualche giorno fa si è presentata l’occasione di abbinarlo con un agnello sardo fatto al forno e non me la sono lasciata scappare.
Come ricordavo, l’annata 2016 sfoggia un colore Rubino non particolarmente carico, anche se ruotando il calice se ne nota la consistenza, con un ventaglio olfattivo che si apre su note di frutta rossa ben matura, quali prugna cotta, dattero, sciroppo di amarena unite al carrubo, seguite da concentrato di pomodoro, petali appassiti di rosa rossa, tabacco aromatico da pipa e macchia mediterranea, con echi conclusivi, appena accennati, di deliziosa ossidazione, vaniglia ed eucalipto. Il palato, pur nella sua ampiezza, non affatica mai la beva, anche grazie alla lieve ossidazione (che credo sia un dettaglio voluto, vista l’armonia con cui si integra con tutte le altre componenti), alla balsamicità e a un tannino estremamente elegante; il tutto arricchito dal ritorno della frutta rossa e della macchia mediterranea che accompagnano il sorso a una chiusura lunghissima e golosa.
Punteggio: 94/100