Anche se le fonti ufficiali fanno risalire l’insediamento umano nel Trentino Alto Adige intorno al 3000 a.C., e le prime forme di agricltura all’epoca Etrusca e Romana, per parlare di viticoltura in maniera estensiva occorre arrivare al X secolo d.C.. Le ragioni del passaggio dall’autoconsumo a una prima economia vitivinicola di larga scala, principalmente nella zona occidentale delle Dolomiti, furono più di una: da un lato Trento era la sede di un Principato Vescovile che richiedeva sempre maggiori quantità di vino per la celebrazione delle messe; dall’altro gli scambi commerciali con Austria, Baviera, Boemia e Svizzera avevano aperto nuove rotte commerciali.
Questo passato, così ricco di storia e di stimoli, viene gelosamente conservato e tramandato dall’azienda agricola Foradori ce prende il nome da Vittorio Foradori, il quale la acquistò nel 1939 dai precedenti proprietari che l’avevano fondata nel 1901. A Vittorio è succeduto Roberto e sua moglie Gabriella dalla quale le redini dell’azienda passeranno nelle mani di Elisabetta Foradori nel 1984, al termine dei suoi studi press la scuola enologica di San Michele all’Adige. Oggi la quarta generazione comincia ad affacciarsi in azienda con i figli di Elisabetta, e del marito Rainer Zierock (scomparso nel 2009), Emilio, Theo e Myrta.
La filosofia a cui elisabetta si inspira è quella biodinamica, una filosofia la cui prima applicazione in azienda risale al 2002 culminando, nel 2009, con la certificazione ufficiale da parte di Demeter e ICEA. La biodinamica in sé non è però abbastanza da Foradori, perchè viene affiancata da altri interventi di rivitalizzazione della vigna quali, ad esempio, la piantumazione di siepi e di vecchie varietà di frutta nelle vigne o l’inerbimento curato dell’interfilare. Queste due operazioni hanno consentito di reintrodurre animali da pascolo in vigna e, in breve, si è assistito al ritorno di insetti, farfalle ed uccelli, oltre all’arricchimento di microorganismi del suolo.
In cantina, ovviamente, vengono usati altrettanta cura e rispetto attraverso il rifiuto di qualsiasi tipo di interventi correttivi, utilizzando gli stessi recipienti tanto per la vinificazione quanto per l’affinamento. Proprio per questo motivo è stata consdotta un’analisi dettagliata delle caratteristiche di legno, terracorra e cemento, con lo scopo di individuare quale sia il contenitore più adatto per ogni singolo vino. Questa attenzione fa il paio con la scelta di vinificare spontaneamente, con i lieviti indigeni e senza controllo della temperatura, effettuata senza aggiunta di solfiti, i quali vengono aggiunti in minima parte (meno di 30mg/l) solo dopo il primo travaso.
Uno degli ultimi nati in casa Foradori è il Pinot Grigio Fuoripista, un vino frutto della collaborazione con Marco Devigili, viticoltore biodinamico del Campo Rotaliano. Si tratta di un vino nasce in un appezzamento di due ettari dallo scheletro alluvionale-ghiaioso, a Mezzolombardo, le cui uve affinano sulle bucce, per otto mesi, nelle tinajas (anfore) di terracotta, prima di essere imbottigliate.
L’annata 2020 sfoggia il caratteristico colore ramato intenso, ed un ventaglio olfattivo che si apre su note di litchi, albicocca disidratata, fragolina di bosco e kumquat, seguite da biancospino, mentolo e uva sultanina, con echi conclusivi di selce bagnata. Il palato, dopo le prime sensazioni di morbidezza e calore, vira su toni più freschi e agrumati, e sulle sensazioni sapido/minerali; il tutto arricchito dal ritorno del frutto bianco e rosso, e della selce, che accompagnano il sorso fino ad una chiusura dissetante e di buona lunghezza.
Punteggio: 91/100
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