Di Radikon, a Oslavia, in pieno Collio Goriziano, 3 chilometri appena dal confine italo-sloveno, sono celebri le scelte vitivinicole che negli anni hanno portato questa cantina a licenziare vini che, come amano ripetere, “non piacciono a tutti”. In effetti quello che Stanko Radikon ha cercato di raccontare, lungo tutta la sua vita, attraverso i suoi vini, non è niente altro che la verità, la sincerità e il rispetto verso la propria terra, passando questi valori al figlio Saša, attuale proprietario. Tutto inizia intorno al 1949, quando il padre di Stanko pianta per la prima volta la Ribolla, un vitigno particolarmente problematico per la vinificazione visto che è il primo a gemmare e l’ultimo a maturare. Anche se già negli anni ’60 e ’70 la famiglia Radikon comincia timidamente a vendere le eccedenze di vino sfuso, è però a metà degli anni ’80 che Stanko prende le redini dell’azienda e la imposta in una chiara direzione vitivinicola.
La storia di Stanko come produttore, piuttosto simile a quella di Gravner, comincia con la creazione di vini ispirati al massimo della pulizia tecnica ma che gli paiono quasi senz’anima. È così che studiando per prima proprio la Ribolla ne desume che per esaltarla è necessario che le sue bucce così spesse e così fragili vengano macerate insieme col mosto per tempi piuttosto lunghi, consentendogli di cedere la ricchezza olfattiva ma anche gustativa (i tannini in primis) che racchiudono. Siamo nel 1991 e già nel 1995 il viticoltore compie un’ulteriore drastica scelta in anticipo sui tempi: l’abbandono totale della chimica in vigna e dei solfiti in fase di vinificazione. Oggi Saša porta avanti questo tipo di viticoltura che contempla ovviamente il massimo della naturalità anche in fase di vinificazione: i pochissimi grappoli per pianta fermentano naturalmente e per mezzo di lieviti indigeni. Per quanto riguarda l’imbottigliamento vengono adottate bottiglie da un litro perché le classiche bordolesi da 0,75l non avevano la forma adatta per ospitare il tappo inventato da Radikon: più lungo e dal diametro più piccolo, per poter utilizzare la parte più tenera del sughero, quella meno attaccabile dai funghi.
Nonostante la produzione di questa cantina sia basata principalmente sui vini bianchi, vengono comunque vinificati anche vini rossi quali il Merlot, il Pignolo e il Pinot Nero. Da quest’ultimo varietale, in un vigneto di 25 anni di appena 60 are, con una densità di circa 6000 ceppi per ettaro, adagiato su suolo formato dalla tipica Ponka (argille arenarie che in profondità diventano dure come roccia ma che in superficie restano friabili e drenanti), nasce il Modri, il nome con cui significa semplicemente Pinot Nero in Oslavia. Le uve, vendemmiate manualmente con estrema cura, vengono inviate alla cantina dove, dopo una attenta diraspatura e pigiatura, fermentano e macerano dai 3 ai 4 mesi in tini troncoconici di rovere, con appena 3/4 follature manuali. Il vino ottenuto, di solito meno di 1500 litri, viene poi lasciato affinare in barrique usate per 5 anni, con alcuni travasi dove necessari, e in bottiglia per i successivi 5 anni, prima della commercializzazione.
L’annata 2009 sfoggia un colore rubino con qualche screziatura aranciata, e un ventaglio olfattivo che si apre su note di visciola, amarena, ribes rosso e arancia amara, seguite da rosa appassita, alloro, ramo verde di china e sottobosco, con echi conclusivi empireumatici e leggermente ossidati. Il palato è decisamente fresco, con una grande dinamicità e una buona sapidità minerale; il tutto arricchito dal ritorno della frutta rossa e delle note lievemente ossidate che accompagnano il sorso ad una chiusura di ottima lunghezza.
Punteggio: 89/100
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