La storia del Domaine Gros Frère et Soeur affonda le sue radici nel 1830 quando un loro antenato, Alphonse Gros, dopo il matrimonio con Julie Latour, in parte acquistò, e in parte ereditò, i primi appezzamenti di vigneto a Vosne Romanée. Questa tenuta, conosciuta con il nome di Domaine Louis Gros, rimarrà invariata fino al 1963 quando, alla morte di Louis, verrà divisa tra i suoi figli, con Colette e Gustave che si uniranno per dare vita a un progetto unico dall’iconico nome di Domaine Gros Frère et Soeur. Per il definitivo salto di qualità bisognerà però attendere la prematura scomparsa di Gustave, avvenuta nel 1984, e la successiva entrata in azienda del nipote Bernard Gros, un appassionato viticoltore che coltiva, tra le sue passioni, anche la musica, ritenuta la forma d’espressione che meglio di tutte unisce la creatività al rigore scientifico.
Sotto la guida di Bernard, coadiuvato da pochissimo dal giovane figlio Vincent, i terreni della tenuta, una ventina di ettari tra Vosne Romanée, Clos Vougeot ed Echezaux, subiscono un decisivo lavoro di espianto dei cloni di Pinot Nero meno prestigiosi, e dalla loro sostituzione con altri più fini e ricercati. Questa operazione ha comportato, come previsto dai disciplinari produttivi di Borgogna, la declassificazione di alcuni vigneti da Grand Cru a Premier Cru ma, vista la qualità dei vini attuale, verrebbe da dire che per Bernard il gioco sia valso la candela. Da un punto di vista agronomico poi, si è scelto di seguire un disciplinare produttivo che, pur non ricercando questa o quella certificazione, è caratterizzato dal grande rispetto dell’intero ecosistema all’interno del quale i vigneti sono inseriti.
Stilisticamente si cerca di dare vita a vini che, pur possedendo un’ottima capacità di affinamento, siano in grado di mostrare fin da subito grande profondità e intensità, a partire dai vigneti dove una severa potatura verde permette di concentrare l’intensità dei grappoli rimasti. Per esaltare la centralità del frutto, in cantina, si procede con l’intera diraspatura, mentre il processo di affinamento viene svolto all’interno di barrique nuove il cui livello di tostatura viene scelto con impareggiabile perizia. Questo approccio riguarda anche uno dei cavalli di battaglia di questa cantina, il Richebourg Grand Cru la cui vinificazione è cominciata con la scelta di ritardare di una settimana la vendemmia, per operare sulle piante una prima selezione di uve più concentrate senza bisogno di ricorrere a macchine per la concentrazione. Una volta arrivate in cantina le uve sono state interamente diraspate e selezionate nuovamente su un tavolo vibrante prima del travaso in tini di cemento raffreddati, dove sono state rimontate di frequente fino all’inizio della fermentazione. La fermentazione stessa è stata volta a temperatura controllata, senza aggiunta di solfiti, con due follature giornaliere e conclusa nelle barrique nuove a cui ho fatto cenno. Due anni scarsi di riposo tra botte e bottiglia e il vino è pronto per la commercializzazione.
L’annata 2016 sfoggia un colore rubino di grande intensità con un ventaglio olfattivo che si apre su note di cola, sciroppo d’amarena, mora selvatica e vaniglia, seguite da rosa disidratata, toffee, incenso del monte Athos e tabacco dolce da pipa, con echi conclusivi empireumatici e di carpenteria. Il palato sfoggia il delizioso equilibrio di un corpo di grande spessore, morbido e glicerico, capace però di muoversi con incredibile agilità, con un contorno di eleganti tannini e una punta di pepe nero; il tutto arricchito dal ritorno della frutta rossa e delle spezie nobili che persistono anche dopo una chiusura apparentemente interminabile.
Punteggio: 96/100