Parlare della viticoltura ligure senza nominare il Rossese di Dolceacqua sarebbe fare un torto al prestigio di questo vino, tutto fondato sull’incredibile eleganza che riesce ad esprimere nella Val Nernia, una fazzoletto nel primo entroterra a metà strada tra il mare del Ponente Ligure e la Montagna. Anche se, a partire dagli anni ’50, si è assistito allo spopolamento di quelle terre, con la riduzione degli ettari vitati da 3.000 ad appena 80, tutt’oggi esistono figure come quella di Giovanna Maccario, che con tenacia e convinzione portano avanti la tradizione di questo vino.
I Maccario possedevano terre nell’areale già ad inizio ‘900, terre passate nel corso degli anni dal nonno, al papà di Giovanna, e dal papà, nel 1991, a Giovanna stessa, che le coltiva con l’ausilio del marito Goetz Dringenberg, di un assistente di cantina, e della cugina di Giovanna, oltre allo stesso enologo che collaborava già con il padre.
Inizialmente Giovanna disponeva appena di un ettaro e mezzo di vitigno, ma con il tempo e la determinazione è arrivata a possederne sette, tutti coltivati seguendo una filosofia biologica non certificata, modificata in base alle esigenze dei singoli appezzamenti. La forma di allevamento adottata è quella dell’Alberello Provenzale che, a differenza dell’Alberello tradizionalmente conosciuto in Italia, sviluppa un maggior numero di branche (fino a sette contro le tre tipiche), ognuna delle quali produce pochi chicchi d’uva ricchi di glicerina che conferirà morbidezza al vino senza perdere in acidità.
Le lavorazioni in cantina sono semplici, brevi ed essenziali: tutte le fasi della vinificazione avvengono in acciaio cercando di mantenere la temperatura di fermentazione e macerazione al di sotto dei 27° C. Un’altra caratteristica di questa cantina è la scelta dell’etichettatura poiché, oltre al colore che varia in base cru di provenienza, la retroetichetta riporta altitudine del vigneto, composizione del terreno, sistema di allevamento, selezione delle uve, metodo di vinificazione, tipo di affinamento e temperatura di servizio suggerita.
Tra le etichette più importanti della cantina figura il Rossese di Dolceacqua Posau Riserva Biamonti, un vino che nasce dalla parte più alta del vigneto Posau, e porta il nome di Francesco Biamonti, celeberrimo scrittore di quelle terre. In questo caso si potrebbe parlare di un “Cru di un Cru” ottenuto da un fazzoletto di terra di appena 30 are (meno di mezzo ettaro) in cui insistono piante centenarie che producono pochi grappoli spargoli e ricchi. Dopo la vendemmia manuale (negli ultimi 10 anni si è passato da inizio ottobre a inizio settembre) condotta esclusivamente sulle piante migliori, il vino macera, fermenta e affina in acciaio per un arco temporale che non arriva ai 12 mesi, visto che ad agosto è già tempo d’imbottigliatura.
L’annata 2017 sfoggia una veste rubino di buona intensità e consistenza, con un ventaglio olfattivo che si apre su note di ciliegia Ravenna, visciola, arancia sanguinella e melagrana, seguite da pot-pourri di violetta, tabacco Latakia e Macchia Mediterranea, con echi conclusivi di vinile e incenso del Monte Athos. Il palato mostra un corpo esile, raffinato e fresco, con tannini setosi appena accennati e un piacevole richiamo alla nota iodata; il tutto arricchito dal ritorno della frutta rossa e delle spezie più austere che accompagnano, in simbiosi, il sorso, a un finale lungo e deliziosamente succoso.
Rating: ⭐⭐⭐⭐
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