La viticoltura in Alto Adige vanta radici antichissime: si parla di almeno 3000 anni fa, visto che, in alcune zone, sono stati rinvenuti dei falcetti per la potatura, molto simili a quelli tutt’ora utilizzati, databili intorno a quel periodo storico. Pur avendo coscienza di portare sulle spalle un passato così ingombrante, Martin Abraham e sua moglie Marlies conducono una cantina che, a partire da un pugno di anni fa, ha cominciato a produrre vini, che si sono imposti all’attenzione di critici ed enoappassionati.
Per Martin è stata quasi una formalità abbracciare la viticoltura, visto che, prima di lui, lo avevano fatto il padre e, prima ancora, il nonno; dove però il lavoro degli attuali proprietari differisce è nella scelta di passare da conferitori di uve per le cantine sociali a imbottigliatori privati. Può sembrare una scelta “soltanto” lodevole ma, se nella zona di Appiano (dove si trova la cantina) il 90% del territorio vitato è consociato in cooperative, la dimensione di questa scelta appare in tutto il suo coraggio.
Se la cantina Abraham si trova proprio ad Appiano, il suo tesoro sono i vigneti, sparsi in diverse parcelle, da quelle che insistono nella zona orientale, con una forte componente acida e tessitura marnosa, a quelle nella parte occidentale, presso Appiano Monte, quasi totalmente calcaree. Ad esempio il vitigno Schiava ha trovato il suo habitat naturale proprio nella suddetta zona occidentale, nel vigneto Pagis, a 450 metri di altitudine, rivolta a est e con una eccellente ventilazione provocata dalle correnti che scendono dalla Costiera della Mendola.
Questo discorso vale anche per gli altri vitigni (Pinot Bianco, Chardonnay, Gewurztraminer, Sauvignon Blanc e Pinot Nero) coltivati in un areale complessivo di quasi 7 ettari da cui si ottengono 40.000 bottiglie annue (inizialmente se ne ottenevano solo 6000). Che si tratti di lavoro in vigna o in cantina, indipendentemente dal vitigno, l’approccio rimane estremamente delicato e rispettoso della natura, a cui viene data ampia libertà di crescere spontaneamente tra le viti. In cantina, le fermentazioni sono spontanee, i lieviti indigeni, il controllo della temperatura assente e i solfiti quasi inesistenti, una “ricetta” per riappropriarsi in toto del rapporto con la natura, che i predecessori di Martin e Marlies ben conoscevano, prima della deriva produttiva di stampo industriale.
Se la qualità non manca ai vitigni a firma Abraham, va dato atto che il loro lavoro con la Schiava, come avevo lasciato intuire poco fa, è davvero molto interessante. Eh si, gli Abraham, così come altri piccoli/grandi produttori altoatesini (Hartmann Donà, Pranzegg, Nusserhof, In Der Eben etc.) hanno ricominciato a investire in questo vitigno che, fino a metà del secolo scorso, era il vitigno di territorio per eccellenza. Dopo un lungo periodo di latenza, si è capito che bisogna tornare a investire con serietà su questo vitigno e i risultati non sono tardati ad arrivare, come nel caso di questo Upupa Rot.
Stiamo parlando di una Schiava con un piccolo saldo (intorno al 7%) di Pinot Nero; le viti hanno oltre 50 anni e rendono mediamente 45 quintali per ettaro, frutto di una prima cernita in vigna che lascia maturare il più a lungo possibile soltanto i grappoli migliori. Una volta arrivate in cantina, le uve vengono diraspate, fatte fermentare con lieviti indigeni, e macerare sulle bucce per tre settimane, prima di una soffice pressatura e una chiarifica spontanea per sedimentazione. Il vino ottenuto svolge la fermentazione malolattica e affina per 15 mesi sulle fecce fini, in botti di rovere da 500 litri, prima dell’imbottigliamento e della commercializzazione.
L’annata 2017 sfoggia un colore rubino quasi impalpabile, tanto per la concentrazione, quanto per la consistenza, con un ventaglio di sentori che si apre su melagrana, ciliegia Ravenna, arancia sanguinella e ribes rosso, seguite da por pourri di rose, fiori di pesca Saturnia, vinile e incenso del Monte Athos, con misurati echi conclusivi ferroso/ematici. Nonostante il titolo alcolometrico si fermi a 12,5 °C, il palato risulta pieno, ampio, sia pur senza eccessi, con una morbidezza intrigante e una bevibilità irrefrenabile; il tutto combinato con il ritorno della frutta e dei fiori che accompagnano la lunga chiusura, lasciando dietro di sé una sottile trama sapida che invita golosamente al sorso successivo.
RATING: ⭐⭐⭐⭐
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