
La storia della cantina Catena Zapata comincia nel 1898 quando il patriarca Nicola Catena lasciò l’Italia per trasferirsi in Argentina, una nazione che all’epoca offriva interessanti possibilità di sviluppo ai volenterosi che, dalle zone più povere ed arretrate d’Europa, principalmente in Italia e in Spagna, vi emigravano. Dal primo vigneto, piantato nel 1902, la famiglia Catena continuò a prosperare, tanto che il figlio di Nicola, Domingo, era già diventato, negli anni ’50, uno dei viticoltori più famosi di Mendoza. Il vero punto di svolta però arriverà soltanto con il figlio di Domingo: Nicolás Catena Zapata (il cognome materno), un giovane e brillante economista, si era trasferito in California per insegnare materie economiche alla celeberrima Berkley University, e qui, nel tempo libero, aveva fatto visita alle più celebri cantine dell’epoca. La California stava cominciando ad imporre i suoi vini all’attenzione dei gradi appassionati in giro per il mondo, e il loro stile di produzione finì per influenzare il lavoro di Nicolás quando, nel 1985, prese in mano le redini dell’azienda di famiglia.
Il percorso di sviluppo però era appena all’inizio perché, studiando le caratteristiche dei vini prodotti, Nicolás si rese conto di essere alla ricerca di un gusto più elegante e raffinato e così prese una decisione che i suoi contemporanei non esitarono a bollare come folle: piantare le vigne ad altitudini estreme. La prima zona interessata da questa rivoluzione fu il vigneto “Adrianna” (in onore della figlia più piccola), a Gualtarray, in una delle zone più fredde della regione di Mendoza, a 1500 metri di altitudine. Gli studi condotti in loco rivelarono che, oltre a un clima più freddo, che consentiva di raccogliere uve perfettamente mature, con una concentrazione zuccherina inferiore alla pianura (e quindi un tenore alcolico potenziale inferiore), le uve sviluppavano bucce più spesse, ricche di polifenoli, e una maggiore quantità di lieviti indigeni.
Proprio da una parcella di 2,2 ettari di questo vigneto, chiamata “White Bones” (ossa bianche) per via del suolo ricco di resti fossili calcarei di origine animale, depositatisi sul letto di un fiume che nella preistoria attraversava la regione, nasce l’omonimo Chardonnay “White Bones”. Le uve, dopo una raccolta manuale e una cernita in pianta, fermentano e macerano, in barriques e tonneaux, per un periodo tra i 45 e i 95 giorni, alla temperatura di 16 gradi, quindi affinano tra i 12 e i 16 mesi in botti di rovere con frequenti batonnage.
L’annata 2018 sfoggia un colore paglierino di media consistenza con un ventaglio olfattivo che si apre su note di clorofilla, vaniglia, litchi e mandarino cinese, seguite da lime, prugna gialla, erba fresca appena tagliata e burro di Normandia, con echi conclusivi di calcio combusto e selce. Il sorso è di medio corpo, dominato da un’elettrizzante acidità, attorno alla quale si innestano la sapidità e una lieve nota piccante, il tutto arricchito dal ritorno dell’agrume e del vegetale che persistono a lungo anche dopo una dissetante chiusura.
Punteggio: 93/100
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