Anche in un lembo di terra così vocato alla produzione vitivinicola di altissimo livello, come la Côte-d’Or in Borgogna, sono poche le cantine che possono vantare il privilegio di essere strettamente legate a dei miti senza tempo come nel caso di Rouget, il cui omonimo proprietario, Emmanuel Rouoget, ha vissuto la vigna gomito a gomito, a partire dall’età di 18 anni, con lo zio Henri Jayer. Per i pochi che non lo sapessero, quando si parla di Jayer, si parla di una figura che ha letteralmente rivoluzionato il modo di fare vino in quelle terre, al punto che non è fuori luogo parlare di un “prima” e un “dopo” Henri Jayer. Emmanuel ha usufruito di un percorso di crescita in vigna davvero speciale, finendo per ereditare le terre di Jayer e la sua filosofia produttiva, tutte cose che a sua volta, a partire dal 2011, sta trasmettendo ai figli Nicolas (in vigna) e Guillaume (in cantina).
La cantina Rouget può contare oggi su un piccolo numero di prestigiosi appezzamenti distribuiti in una fascia di cinque chilometri che partono da Savigny les Beaune, a sud, per arrivare a Echezaux, a nord. Tra di essi figurano il celeberrimo Richebourg, una cui bottiglia del 1978, messa all’asta, raggiunse cifre fino ad allora impensabili (oltre 38.000 dollari) per un Pinot Noir di Borgogna, e l’ancor più celebre Cros-Parantoux, a Vosne Romanée, considerato dalla maggior parte della critica un Grand Cru “mascherato” da 1er Cru. Si trattava, e si tratta, di un vigneto di un ettaro (attualmente in mano a Rouget per il 70% e a Méo-Camuzet per il 30) letteralmente creato da Jayer che, credendo ciecamente nella vocazione vitivinicola di quel piccolo appezzamento, arrivò a rompere la roccia con 400 candelotti di dinamite per renderla coltivabile.
Alla luce dell’importanza di questa eredità non stupisce che da Rouget si sia scelto di continuare anche a vinificare nello stile utilizzato dallo zio, uno stile riassunto in una sua frase che suona più o meno così: “io non sono un tipo coraggioso, e siccome la Natura fa tutto così bene, non ho motivo di sostituirmi a Lei”. Selezioni massali, lavori in vigna eseguiti seguendo le fasi lunari, considerazione degli elementi naturali come alleati del viticoltore e non dei nemici da contrastare o dominare, sono solo alcune delle abitudini che regolano il lavoro in vigna. In cantina le fasi della vinificazione, in cui si cerca di esaltare al massimo la componente fruttata del Pinot Nero, partono dall’intera diraspatura e proseguono con la macerazione prefermentativa a freddo, e da fermentazione e macerazione in tini di cemento. L’affinamento dei vini avviene in barrique di vari passaggi, a seconda dell’appellation, per circa 22 mesi, sui lieviti, con l’utilizzo della solfitazione soltanto nella misura consentita dalla viticoltura naturale. Al momento opportuno i vini sono riassemblati in cisterne da 1000 metri cubi e, quindi, imbottigliati, senza chiarifica ne filtrazione, prima della loro immissione in commercio.
Anche il Vosne Romanée Les Beaux-Monts 2010, un prestigioso 1er Cru al confine tra Vosne Romanée ed Echezuax, seguendo il medesimo disciplinare produttivo, sfoggia nel bicchiere un colore rubino quasi impalpabile, con un ventaglio olfattivo che si apre su note di marasca, arancia sanguinella, ribes rosso e rosa appassita, seguite da vaniglia, cenni pirici, tostatura di caffè (quasi cappuccino) e lacca cinese, con echi conclusivi empireumatici ed ematico/ferrosi. Il palato colpisce per l’intensa vibrazione, fresca e carnosa, con un tannino impalpabile e ben ritmato, e un tocco di piccantezza da pepe nero; il tutto arricchito dal ritorno di marasca, rosa e sangue che accompagnano il sorso fino a una chiusura quasi interminabile.
Punteggio: 95/100
Vuoi scoprire cosa posso fare per te? Clicca qui!